Quantcast
Channel: Iris e Libellule
Viewing all articles
Browse latest Browse all 491

Sym, il Parassita. 2

$
0
0
Prima di cominciare: le prossime puntate saranno un pò noiose per Sari e Grazia che le hanno già lette un paio d'anni fa. 


Il racconto di Deepak: 

La bambina, la donna anziana, gli ubriachi


Era la notte del 20 dicembre 2012, limpida, senza nuvole e senza luna. In una casa isolata nella campagna toscana, nei pressi del borgo della Chianella si stava svolgendo una piccola festa a cui erano presenti alcune coppie di giovani e una sola bambina intorno ai quattro anni, figlia dei padroni di casa. Da molto tempo si parlava di una profezia del popolo Maya che riguardava la fine del mondo, che doveva avverarsi proprio il giorno dopo. Si trattava di un complesso computo del tempo contenuto in un antico calendario scolpito nella pietra, la fine di un ciclo temporale calcolato sul movimento dei pianeti, ma si era montato intorno a questa cosa un gran polverone e molti ci avevano creduto, e avevano cercato di rifugiarsi in località ritenute sicure. I giovani che quella notte si erano riuniti e avevano cenato in allegria avevano trovato solo un'altra occasione di stare insieme, che aveva per tema “la fine del mondo domani”.
Avevano preparato poesie e canzoni scherzose che adesso stavano declamando. La bimba dormiva già da un po', ma si svegliò richiamata da un messaggio silenzioso, saltò fuori dal suo lettino e riuscì a sgattaiolare, da un finestrone socchiuso, in giardino. Si guardò intorno, ma era buio pesto, solo il cielo era luminoso. Le piaceva molto guardare il cielo e le stelle quella notte apparivano più numerose e luccicanti del solito per l'assenza della luce lunare. Poco prima, quando era ancora in casa, c'era stato un rumore, ma nessuno lo aveva sentito per la musica e le chiacchiere. Uno sciame di bolidi era precipitato sulla terra e si erano bruciati e frammentati nel contatto con l'atmosfera. Ora dall'alto cadeva sfrigolando leggermente una pioggia di particelle luminose. La bambina alzò le manine per toccarle. Le aderirono alla mano senza produrre effetto di calore o di freddo. La bambina disse: “Le fate!” E cominciò a ballare nella pioggia luminosa. Dalla casa si sentì la voce della madre, che si era affacciata nella camera e non l'aveva trovata : “Gaia? Dove sei? Quante volte ti ho detto di non uscire senza dirlo? E poi fa tanto freddo ...” Sara uscì e vide sua figlia che danzava in pigiama nella pioggia di luce. “Vieni dentro !” gridò allarmata. 
Poi chiamò gli altri : “Venite a vedere che succede! Che può essere?” Tutti si affacciarono alle finestre.
Uno di loro disse: “ A Firenze, molti anni fa, ci fu una pioggia di un materiale che si presentava in fiocchi bianchi, come la lana di vetro...”
Ma questo è diverso … sembra solo luce ..”
Forse è caduto un meteorite e ha rilasciato dei composti del fosforo..”
Gaia era entrata in casa controvoglia. “Le fate.“ dichiarò.
Lei pensa sempre alle fate, vede cose strane ogni tanto, soprattutto fate.” Disse il suo babbo. 
Uno dei loro amici rise. “Non se le sarà inventate da sola! Le avrete detto voi qualcosa sulle fate e i bambini vanno avanti da soli con la fantasia...non c'è proprio niente di strano.”
La mamma guardò Gaia per bene, sulla pelle delle mani e del viso era rimasta una leggera luminosità, come un velo.
Provò a toglierlo con la mano, ma non se ne andava. 
“Sarà meglio andare di nuovo a lavarsi e poi a letto!” disse, inquieta. Gaia sorrise. “Non è niente, mammina, ti dico che sono le fate!”
La luminosità leggera non scomparve neanche con il bagno e la mamma resistette alla tentazione di portare la bimba all'ospedale. Era un viaggio piuttosto lungo e poi era notte fonda, e la bambina stava bene, potevano andarci il giorno dopo. Gaia diede un bacino alla mamma, al babbo, ad ognuno degli ospiti e presto si addormentò. Fece dei sogni bellissimi.


Distante da quella casa almeno un chilometro ce n'era un'altra, abitata da una donna sola e molto anziana. Da parecchio tempo ormai viveva in tre stanze del pianoterra, per non dover salire le scale. La casa era isolata in mezzo al bosco, trasandata e poco pulita, ma l'anziana era del tutto sola e poteva contare solo su scarsi aiuti dei servizi sociali. Da qualche giorno le sue condizioni erano peggiorate, ma quando sentì un miagolio disperato nel bosco vicino alla casa si alzò con fatica dalla sua poltrona, mise un cappotto che teneva sulla sedia lì accanto, prese una torcia che teneva anche quella sempre vicino a sé e uscì in ciabatte per cercare il gatto che continuava a chiamarla. Dal cielo scendeva fra gli alberi spogli una pioggia leggera di scintille luminose. Non aveva mai visto una cosa simile. Alzò la torcia verso l'alto. Il gatto aveva smesso di miagolare e lei restò, stordita e rallentata dal freddo, a guardare il fenomeno delle piccole luci fredde. Le fece un po' paura. Fra gli arbusti il suo gatto Nino si mosse e le venne incontro facendo le fusa. Lei si riscosse e si avviò verso casa brontolando col gatto che l'aveva costretta ad uscire nella notte, d'altra parte era l'unica creatura che le fosse rimasta vicina, l'unico a cui importasse qualcosa di lei e non poteva perderlo. Intorno continuava a scendere silenziosa la pioggia di scintilline fredde e le venne in mente che era curioso vedere una cosa del genere poco prima di morire. Forse fu il gelo, ma appena entrata in casa si sentì svenire e scivolò a terra. Aveva un piccolo apparecchio che, premuto, lanciava un segnale di richiesta di aiuto, una diavoleria per anziani soli. Riuscì ad attivarlo prima di perdere i sensi, poi scivolò in una gradevole incoscienza. Alcune scintilline luminose si erano posate sulla sua pelle, sul viso e sulle mani. Cominciarono ad esplorarla e a moltiplicarsi su di lei, entrando negli orifizi del naso, della bocca semiaperta, delle orecchie. Dalla porta entrava il freddo pungente della notte e la donna si trovava sdraiata proprio in mezzo all'ingresso. Si raffreddò sempre più e restò immobile, mentre il gatto si arrotolava nell'incavo formato dalle gambe piegate facendo le fusa. Lentamente e senza dolore la donna si inoltrò nella morte, restando sospesa sull'orlo.


In una strada al margine del bosco, nel paesino della Chianella, un uomo solo e ubriaco camminava e sbandava. Cadde e restò a sedere con la bocca aperta. Non si accorse della pioggia di luce che gli cadeva addosso finché non riaprì gli occhi, si riscosse e si spaventò a morte. Gli parve una spaventosa pioggia di fuoco. Aveva in tasca un coltello. Prese a correre per la stradina e si trovò faccia a faccia con un altro ubriaco uscito da poco dall'osteria del paese. Tutti e due si spaventarono molto, l'uno già impaurito, l'altro si vide arrivare addosso il primo e gridò, in un attimo quello tirò fuori, per istinto, il coltello … La polvere di luce li copriva entrambi e l'intera scena, se ci fosse stato qualcuno a vederla, sarebbe parsa surreale. Quando il primo uomo affondò il coltello nel corpo dell'altro, attraverso la lama gli arrivò in un lampo, con la rapidità del pensiero, il flusso delle emozioni della sua vittima. Sorpresa, paura, terrore, incredulità, e moltissimo dolore. Terrorizzato e inferocito ritirò la lama e tornò a colpire molte altre volte, ma le emozioni che lo assalivano ad ogni colpo erano sempre più potenti e lo invadevano, finché l'altro cessò di vivere e lui sentì di non sopportare più e rivolse il coltello contro di sé.
La polvere di luce che li copriva entrambi d'improvviso si spense e cadde a terra in fiocchi grigi di cenere. I due uomini restarono sul selciato, uno morto e l'altro agonizzante. Dalle case sentirono un unico grido e poi il silenzio.

Le persone che, quella notte, in Italia, fecero il loro incontro con la pioggia di luce furono davvero poche. In altri luoghi del pianeta il fenomeno avvenne di giorno e quasi nessuno se ne accorse, lì per lì, salvo poi ritrovarsi la pelle soffusa di una luminosità leggera, come un fondotinta luccicante. 

L'ospedale

La mattina dopo Sara andò a svegliare sua figlia, si affacciò nella piccola camera e sobbalzò nel vedere che la piccola dormiva profondamente circondata da un alone luminoso che pulsava al ritmo del suo cuore. Aveva buttato via le coperte e sembrava non sentisse freddo. Resisté all'impulso di scrollarla e svegliarla di colpo, chiamò Nanni perché venisse a vedere: tutti e due respiravano piano sopra la piccola immersa nel sonno, le loro teste si toccavano.
Che sarà, secondo te?”
E' la cosa di stanotte.”
Dio mio. Dorme così bene.”
Chiama Paolo.”
Paolo era il pediatra della piccola Gaia, amico fin da ragazzo dei genitori di Sara. 

Paolo Giusti

Paolo Giusti era un pediatra di sessant'anni con un brutto carattere. Un'infermiera nativa della Chianella diceva che era “scorbellato”, una parola dialettale che significava qualcosa come ombroso e scorbutico. Quando entrava al lavoro il personale del reparto si domandava fra di sé: “Com'è oggi? Morde? Ringhia?” Alcuni di loro, invece, gli erano molto affezionati.
Il dottor Giusti aveva passato la notte al lavoro e aveva colto l'occasione per stare vicino ad un suo piccolo paziente molto grave. Negli ultimi anni aveva perso molti punti di riferimento, le sue stelle di navigazione si erano offuscate, come diceva lui, e il lavoro era diventato il centro della sua vita ancor più di quanto lo fosse stato fino ad allora, col risultato che ogni bambino che non riusciva a guarire era una sconfitta personale. Non lo confessava, considerava una debolezza grave questa sua mancanza di adattamento alla realtà.
Non puoi prenderla così” gli diceva il suo amico, il dottor Guido Di Segni, che lavorava nel reparto di analisi dello stesso ospedale. “Non è dalla persona intelligente che sei pretendere di risolvere ogni caso che affronti, sai bene che ci sono troppe varianti in campo: genetiche, ambientali, culturali, economiche...la salute è una somma di fattori e un certo peso ce l'ha la fortuna...o, per chi crede, la volontà divina.” Paolo lo fulminava con gli occhi. Non gli piacevano questi discorsi, non gli piacevano le sconfitte e non gli piaceva per niente rimandare a casa un bambino asmatico, sapendo che sarebbe rimasto asmatico, ma zeppo di farmaci, o presenziare ai funerali. Quella mattina era stanchissimo, ma quando Sara gli telefonò le assicurò che l'avrebbe aspettata anche dopo la fine del suo turno. A casa non lo aspettava nessuno, da quando sua figlia era andata a coabitare con delle amiche in città, qualche anno fa, e lui e sua moglie si erano separati, un paio d'anni prima. Una separazione informale, senza carte né avvocati, ma sostanziale, visto che lei era andata ad abitare a Firenze. Essere rimasto solo aveva peggiorato il suo carattere, gli mancava sua figlia, anche se sapeva che doveva permetterle di crearsi una propria vita. Così quando la sentiva al telefono evitava accuratamente di farle capire quanto avrebbe voluto che lei fosse a casa. Gli mancava molto sua moglie, ma non le loro liti. Era impossibile prendere sua moglie senza litigarci, era un pacco unico. Gli mancava, rifletteva a volte, qualcosa che non esisteva, che non era mai esistito se non nella sua fantasia: una famiglia unita, serena e pacifica che funzionasse come un porto sicuro per l'anima nelle avversità della vita. Stare solo gli era sembrato un rimedio, una buona scelta, e invece era tormentato e si sentiva quasi inseguito, da chi o cosa non avrebbe saputo dire. Il fatto era che non dormiva se non era stanchissimo, e allora si stancava molto, e da sveglio aveva bisogno di tenersi impegnato per non farsi domande, o per evitare che le domande si affacciassero alla coscienza...Erano le nove del mattino quando Paolo esaminò Gaia in modo approfondito.
 

Viewing all articles
Browse latest Browse all 491

Trending Articles