I bambini non erano più tornati a casa di Paolo dal giorno del ferimento di Gigliola, ma un pomeriggio si sentì scricchiolare la ghiaia del vialetto e fermarsi le biciclette. I ragazzi bussarono, poi entrarono in casa in punta di piedi e in silenzio e si affacciarono in cucina, dove Paolo, Giulia e Alan stavano finendo di pranzare; tutti fecero un sorriso malinconico, l'unico tipo di sorriso che riusciva loro di fare, e i bambini lo interpretarono come un assenso. Entrarono in soggiorno in punta di piedi: la stufa era spenta. Nella stanza, dopo ciò che era accaduto a Gigliola, non era entrato più nessuno: entrare faceva male. Uno dei bambini vuotò il cassetto della cenere, un altro uscì a prendere la legna, un altro accese il fuoco. Spazzarono la stanza e passarono lo straccio in terra mentre l'aria si scaldava, poi si sedettero intorno alla tavola. Dalla cucina li sentivano parlare sottovoce fra sé. Dopo un po' una bambina si alzò per chiedere aiuto a Giulia per i compiti. In realtà non ne aveva affatto bisogno, ma tutti loro intuivano che sarebbe servito a Giulia e ad Alan, sentirsi utili, e mettersi a lavorare con loro. Deepak andò in cucina da Paolo, dicendo che non stava bene, a casa gli aveva fatto tanto male la gola. Paolo, paziente, gli fece tirar fuori la lingua e guardò con la lampada in fondo alla gola: la gola era a posto e la lingua di Deepak, coperta di particelle SYM, era in perfetta salute. Il ragazzino gli sorrise, con il suo sorriso largo e sincero. “Sì, c'è un po' di rossore..” mentì Paolo. “Vedi, lo dicevo io!” Deepak allargò il sorriso tanto che sembrò che la faccia si dividesse. “E ora che medicina mi dai?”
“Nessuna medicina, sta già provvedendo il tuo SYM.”
“Ah. Per fortuna. Ma c'era bisogno che mi visitassi...”
Anche Deepak voleva in qualche modo aiutare Paolo, farlo sentire vivo e utile. Inoltre i bambini dicevano in quel modo che non volevano che tutto finisse, con l'assenza di Gigliola, che si doveva continuare, fino a quando lei sarebbe tornata. In questo modo ricominciò il doposcuola.
La Corazza, o il Sarcofago
Una mattina, dopo otto giorni dal ferimento di Gigliola, Paolo fu chiamato col cercapersone. Doveva andare subito nella camera dove era ricoverata sua moglie. C'erano già Cristina, Tandie e alcuni medici e infermieri con delle video camere. Paolo si fece largo fino al letto. Il SYM aveva cominciato a costruire una specie di corazza sul corpo di Gigliola, ed ora stava crescendo intorno agli attacchi dei tubi per toglierli via. I medici assecondarono il processo in silenzio. Non avevano idea di cosa stesse accadendo, quelli che avevano il SYM si fidavano, gli altri assistevano ad un esperimento che poteva essere molto pericoloso. Gigliola era libera dai tubi e respirava da sola, ma non era lì, il segnale che veniva da lei era sempre lo stesso. Il SYM, in silenzio e rapidamente, creava la corazza di polvere del colore della sabbia. Non si sapeva dove materialmente prendesse il materiale che serviva, ma l'aria si fece tanto secca che dovettero aprire la finestra, e da lì entrarono molte particelle Sym, come un vento. Qualcuno ebbe l'idea di andare a prendere un umidificatore. Ci volle circa un'ora perché Gigliola fosse coperta per intero dalla corazza dura e tiepida e nascosta alla vista. Paolo ripensò alla vecchia signora della notte dell'arrivo, il suo corpo era stato coperto nello stesso modo, ma poi la corazza era esplosa e sotto non c'era niente, solo una traccia di cenere. Sarebbe accaduto lo stesso a Gigliola? Nella camera passarono alcune persone per vedere con i propri occhi lo straordinario fenomeno, e ognuna gli trovava un nome: l'Uovo, il Guscio, la Crisalide, la Crosta, la Mummia, il Carapace, il Bozzolo. Fu Tandie a pronunciare quest'ultimo nome, il più adatto di tutti. Paolo, dentro di sé, la chiamò il Sarcofago, ma non lo disse. C'era un altro nome che gli veniva in mente, ed era la Bara, ed esprimeva tutta la sua paura. Ci sono cose che non si possono dire senza essere fraintesi.
Paolo in quei giorni dormiva senza riposare, un sonno pesante e tormentato, senza sogni da ricordare, ma circa una settimana dopo che la corazza si era formata, nel mezzo della notte sognò che era arrivato il momento di aprirla. Lo mandava a chiamare il piccolo chirurgo che aveva operato Gigliola, con i suoi occhi penetranti e la voce autorevole disse che toccava a lui rompere il guscio e gli consegnava un martello. Paolo colpiva la corazza, con il terrore di far del male a sua moglie, e una volta aperta dentro c'era una mummia avvolta da teli bianchi. Nel sogno il suo cuore batteva sempre più forte, mentre, trovato il capo della benda, la svolgeva sempre più veloce. La mummia rotolava su se stessa e questo gli pareva strano e orribile. Gli sembrava pesante, dunque Gigliola era lì, ma svolgendo la tela la mummia diventava sempre più leggera e il suo movimento più frenetico, finché alla fine dentro non c'era niente. Accanto a lui c'era sua madre, morta da tanti anni, che gli diceva “Vedi, te l'avevo detto che non ti ci dovevi confondere, è leggera, è sempre stata una donna leggera...”
Paolo urlò nel sogno e si svegliò sudato, con un grido strozzato in gola e il cuore che batteva velocissimo. Accese la luce e andò in bagno per lavarsi il viso, svegliarsi perbene e togliere via il sogno dalla mente. Mentre si bagnava la faccia, ancora affannato, scoppiò a piangere, e cercò di farlo in silenzio, per non svegliare Alan e Giulia che dormivano: era la prima volta che piangeva da che tutto era successo. Piangeva disperato, scosso dai singhiozzi. Il sogno aveva dato forma e sostanza alle sue paure, e sfogo al suo dolore. Giulia, che in quei giorni dormiva anche lei un sonno leggero, fu svegliata dalla luce del bagno e dai piccoli rumori prodotti da suo padre. Si alzò, e stava per andare a chiedergli che stava succedendo, quando i suoni che venivano dal bagno la fermarono. Piangeva, suo padre piangeva. Rimase impietrita. Era terribile sentir piangere lui che era sempre così forte, sentir piangere un uomo della sua età. Avrebbe voluto consolarlo, ma qualcosa la tratteneva. Mise una mano sulla bocca e pianse anche lei, a lungo, scalza, in piedi nel freddo del corridoio, poi tornò in camera e si infilò fra le coperte. Alan dormiva e a lei parve che il mondo si fosse rovesciato e niente fosse più riconoscibile.
Nei giorni che seguirono, come se si fosse aperta una diga, Paolo sognò Gigliola parecchie volte, e ogni volta era un sogno angoscioso in cui:
svolta la benda dentro c'era uno scheletro,
svolta la benda dentro c'erano ossa frammentate che si polverizzavano a contatto con l'aria,
rotta la corazza ne usciva un odore terribile di putrefazione,
rotta la corazza c'era Gigliola che mugolava e si contorceva perché era diventata come una bestia senza cervello...
Strano a dirsi, dopo un po' che faceva questi sogni orribili Paolo cominciò a sentirsi sollevato: i suoi sogni avevano fatto una specie di elenco delle sue paure ed ora erano meno spaventose.
Deepak e Michele vanno dal prof Goretti
Ad Arezzo c'era un professore che insegnava matematica al liceo scientifico ed era stato insegnante di Giulia. Alan e Giulia decisero di accompagnare da lui Deepak e Michele, con i loro genitori, ma alla fine venne solo il babbo di Deepak, perché il babbo di Michele aveva troppo da fare. Il professor Goretti era un uomo alto e robusto, con i capelli ricci, gli occhi chiari e l'espressione buona e allegra di un ragazzo. Avevano parlato prima al telefono e quando vide i due bambini, nel corridoio del liceo, sorrise e disse: “Sono questi i matematici in erba? Un po' sotto misura per me, che sono abituato a ragazzi più grandi.” Deepak, diritto e serio come sempre, gli fece uno dei suoi enormi sorrisi. Michele, più sornione, gli diede la mano. Il professore disse agli adulti di tornare fra un'oretta, mise una mano sulla spalla di ognuno dei ragazzini e se ne andarono chiacchierando lungo il corridoio. Alan, Giulia e il signor Bhat tornarono dopo un'ora, ma i tre non avevano finito, e li dovettero cercare nelle aule, che quel pomeriggio erano vuote. Li trovarono seguendo il suono di chiacchiere e risate. Il professore evidentemente si era divertito parecchio. I ragazzi uscirono nel corridoio, mentre Giulia, Alan e il signor Bhat parlavano col professore.
“Bene, professore, che ne pensa?” chiese Alan.
“ Una meraviglia! Sono veramente molto portati per le materie scientifiche. Il ragazzino indiano è dotato per l'astrazione, l'altro ha un'intelligenza più pratica, ma tutti e due si sono avventurati, con questi libri che hanno trovato in casa sua, Giulia, nel programma della scuola media e poi della scuola superiore. Molto divertente lavorare con loro, sono in sintonia, sono amici, e capaci di lavorare insieme.”
“E allora?” chiese il signor Bhat.
“Qual è la domanda?”
“La domanda forse è- disse Giulia- se vale la pena di farli seguire da un insegnante nel pomeriggio, o cercare per loro una scuola più adatta.”
“Sapete, non è la prima volta che mi capita un piccolo genio fra le mani. Ho avuto anche famiglie geniali, fratelli e sorelle molto bravi...ma solo raramente sono riusciti a sviluppare il proprio talento. Questo dipende forse da un'unica causa, che alla fine produce diversi effetti. Una volta che il talento è evidente, la famiglia comincia ad aspettarsi delle cose dal ragazzo o dalla ragazza. Lo sostiene, ma anche pretende risultati, magari non in modo esplicito, ma trattandolo diversamente dagli altri fratelli, rendendogli la vita più facile: “ tu non fare quella cosa., (per esempio lavare i piatti) è meglio se studi”, oppure comprandogli qualcosa, che in questo caso potrebbe essere un computer, di costoso e innovativo, come se investissero denaro ed energie...non so se capite il meccanismo...”
I tre annuirono. “Il ragazzo, o ragazza- continuò il professore- finisce per sentire una responsabilità che lo schiaccia, è troppo grande il timore di deludere i propri genitori, di mancare le aspettative e gli obbiettivi...Finché si arriva alla necessità di compiere la “performance”, che sia un corso universitario o un'esame specifico. E allora il peso che avvertono li fa crollare. Ho visto dei talenti puri naufragare in questo modo, pensarci mi fa ancora male. Ma eccoci a noi. Questi bambini, però, hanno una specie di “leggerezza”.. soprattutto Deepak, che pare sia lui ad averla insegnata al suo amico Michele.. non c'è competitività, non tanto fra loro, quanto con se stessi. Abbiamo fatto delle cose insieme e Deepak ad un certo punto si è bloccato, non capiva. Ho provato a forzare, ma lui mi ha sorriso. Tutto mi sarei aspettato fuorché un sorriso. Allora ho spiegato il passaggio che non gli riusciva. Michele ci è arrivato prima di lui, ma non gliel'ha fatto pesare, come se l'avesse preso per mano e aiutato a rialzarsi. Deepak ha sorriso di nuovo ed è volato avanti, precedendoci. Così si fa. Disciplina, serietà nel lavoro, certo, però elementi essenziali per procedere sono la leggerezza e la scarsa severità con se stessi, il dare il giusto peso al proprio lavoro.“ Alan, Giulia e il signor Bhat annuirono.
“Capisco- disse Giulia. E gli raccontò del doposcuola e di sua madre.
“Così la sua mamma è una delle loro insegnanti?”
“Ah no! No, lei ha solo proposto di usare la nostra casa della Chianella come luogo fisico per una specie di doposcuola. Poi sì, li ha seguiti, ma non per la matematica, solo che, dato che è stata lei stessa un'insegnante, si è accorta che questi due bambini avevano delle speciali abilità. Per questo ha mobilitato altri insegnanti in pensione. Sa, mio padre dice che la mamma è un catalizzatore, nel senso che quando lei è presente le cose avvengono..ma non se lei si impegna a farle avvenire. Anzi, più si impegna meno funzionano! E' piuttosto pasticciona!” Giulia raccontò del tentativo di coinvolgere la Serafina Raspoli riguardo al giardino di Irene. Risero, poi il professore chiese: “E ora è in coma?”
“Sì, una specie di coma... aspettiamo che si risvegli già da tanto tempo, ma non siano certi che accadrà..” disse Alan.
“Lei parlava della leggerezza di Deepak. - disse il signor Bhat- E' stato malato, leucemia..ha rischiato di morire e la sua è una delle prime guarigioni avvenute in seguito al contagio da SYM.”
“Il famoso Parassita! E' quel leggero luccicore della pelle?”
“Sì quello è uno dei segnali. Crediamo che Deepak debba quella che lei chiama la sua leggerezza all'esperienza prima di malattia e poi di guarigione. Il contatto col SYM gli ha salvato la vita. - Il signor Bhat parlava lentamente, in un italiano corretto, scegliendo le parole. -Vede, questa creatura è arrivata dopo un viaggio lunghissimo nello spazio interstellare alla ricerca della vita. Se lei potesse sperimentarne la presenza capirebbe.. La creatura prova un'infinita gratitudine e ce la comunica. Gratitudine, e consapevolezza della fragilità della vita, della sua rarità e della sua natura effimera..questo potrebbe generare chiusura e protezione, invece produce, in Deepak, questo senso di leggerezza. Ancora di più, pensiamo, nel mio bambino che è stato talmente vicino alla morte da guardarla negli occhi. Tutto per lui deve aver cambiato proporzione. Non so spiegarle meglio di così. Forse se avessimo fatto un viaggio di migliaia di anni nel buio e nel freddo del cosmo saremmo così anche noi nei confronti delle piccole sconfitte, o anche di quelle grandi. ” Tutti sorridevano. Il signor Bhat li aveva commossi.
“Credo- disse il professor Goretti- che potrei essere io l'insegnante dei ragazzi. Un paio di pomeriggi alla settimana .. che ne dite? Però dovreste portarli qui a scuola, accompagnarli o mandarli con la corriera.. Io non viaggio volentieri, non l'ho detto, ma sono malato. Non parlo di questo di solito.. è un tumore. Mi piacerebbe, prima di morire, seguirli per un po', non so quanto tempo mi resta. Quando non me la sentirò più vi avviserò. Siamo d'accordo?” Non restò che annuire. Giulia in cuor suo si augurò che il Sym trovasse affinità col professore.
“Nessuna medicina, sta già provvedendo il tuo SYM.”
“Ah. Per fortuna. Ma c'era bisogno che mi visitassi...”
Anche Deepak voleva in qualche modo aiutare Paolo, farlo sentire vivo e utile. Inoltre i bambini dicevano in quel modo che non volevano che tutto finisse, con l'assenza di Gigliola, che si doveva continuare, fino a quando lei sarebbe tornata. In questo modo ricominciò il doposcuola.
La Corazza, o il Sarcofago
Una mattina, dopo otto giorni dal ferimento di Gigliola, Paolo fu chiamato col cercapersone. Doveva andare subito nella camera dove era ricoverata sua moglie. C'erano già Cristina, Tandie e alcuni medici e infermieri con delle video camere. Paolo si fece largo fino al letto. Il SYM aveva cominciato a costruire una specie di corazza sul corpo di Gigliola, ed ora stava crescendo intorno agli attacchi dei tubi per toglierli via. I medici assecondarono il processo in silenzio. Non avevano idea di cosa stesse accadendo, quelli che avevano il SYM si fidavano, gli altri assistevano ad un esperimento che poteva essere molto pericoloso. Gigliola era libera dai tubi e respirava da sola, ma non era lì, il segnale che veniva da lei era sempre lo stesso. Il SYM, in silenzio e rapidamente, creava la corazza di polvere del colore della sabbia. Non si sapeva dove materialmente prendesse il materiale che serviva, ma l'aria si fece tanto secca che dovettero aprire la finestra, e da lì entrarono molte particelle Sym, come un vento. Qualcuno ebbe l'idea di andare a prendere un umidificatore. Ci volle circa un'ora perché Gigliola fosse coperta per intero dalla corazza dura e tiepida e nascosta alla vista. Paolo ripensò alla vecchia signora della notte dell'arrivo, il suo corpo era stato coperto nello stesso modo, ma poi la corazza era esplosa e sotto non c'era niente, solo una traccia di cenere. Sarebbe accaduto lo stesso a Gigliola? Nella camera passarono alcune persone per vedere con i propri occhi lo straordinario fenomeno, e ognuna gli trovava un nome: l'Uovo, il Guscio, la Crisalide, la Crosta, la Mummia, il Carapace, il Bozzolo. Fu Tandie a pronunciare quest'ultimo nome, il più adatto di tutti. Paolo, dentro di sé, la chiamò il Sarcofago, ma non lo disse. C'era un altro nome che gli veniva in mente, ed era la Bara, ed esprimeva tutta la sua paura. Ci sono cose che non si possono dire senza essere fraintesi.
Paolo in quei giorni dormiva senza riposare, un sonno pesante e tormentato, senza sogni da ricordare, ma circa una settimana dopo che la corazza si era formata, nel mezzo della notte sognò che era arrivato il momento di aprirla. Lo mandava a chiamare il piccolo chirurgo che aveva operato Gigliola, con i suoi occhi penetranti e la voce autorevole disse che toccava a lui rompere il guscio e gli consegnava un martello. Paolo colpiva la corazza, con il terrore di far del male a sua moglie, e una volta aperta dentro c'era una mummia avvolta da teli bianchi. Nel sogno il suo cuore batteva sempre più forte, mentre, trovato il capo della benda, la svolgeva sempre più veloce. La mummia rotolava su se stessa e questo gli pareva strano e orribile. Gli sembrava pesante, dunque Gigliola era lì, ma svolgendo la tela la mummia diventava sempre più leggera e il suo movimento più frenetico, finché alla fine dentro non c'era niente. Accanto a lui c'era sua madre, morta da tanti anni, che gli diceva “Vedi, te l'avevo detto che non ti ci dovevi confondere, è leggera, è sempre stata una donna leggera...”
Paolo urlò nel sogno e si svegliò sudato, con un grido strozzato in gola e il cuore che batteva velocissimo. Accese la luce e andò in bagno per lavarsi il viso, svegliarsi perbene e togliere via il sogno dalla mente. Mentre si bagnava la faccia, ancora affannato, scoppiò a piangere, e cercò di farlo in silenzio, per non svegliare Alan e Giulia che dormivano: era la prima volta che piangeva da che tutto era successo. Piangeva disperato, scosso dai singhiozzi. Il sogno aveva dato forma e sostanza alle sue paure, e sfogo al suo dolore. Giulia, che in quei giorni dormiva anche lei un sonno leggero, fu svegliata dalla luce del bagno e dai piccoli rumori prodotti da suo padre. Si alzò, e stava per andare a chiedergli che stava succedendo, quando i suoni che venivano dal bagno la fermarono. Piangeva, suo padre piangeva. Rimase impietrita. Era terribile sentir piangere lui che era sempre così forte, sentir piangere un uomo della sua età. Avrebbe voluto consolarlo, ma qualcosa la tratteneva. Mise una mano sulla bocca e pianse anche lei, a lungo, scalza, in piedi nel freddo del corridoio, poi tornò in camera e si infilò fra le coperte. Alan dormiva e a lei parve che il mondo si fosse rovesciato e niente fosse più riconoscibile.
Nei giorni che seguirono, come se si fosse aperta una diga, Paolo sognò Gigliola parecchie volte, e ogni volta era un sogno angoscioso in cui:
svolta la benda dentro c'era uno scheletro,
svolta la benda dentro c'erano ossa frammentate che si polverizzavano a contatto con l'aria,
rotta la corazza ne usciva un odore terribile di putrefazione,
rotta la corazza c'era Gigliola che mugolava e si contorceva perché era diventata come una bestia senza cervello...
Strano a dirsi, dopo un po' che faceva questi sogni orribili Paolo cominciò a sentirsi sollevato: i suoi sogni avevano fatto una specie di elenco delle sue paure ed ora erano meno spaventose.
Deepak e Michele vanno dal prof Goretti
Ad Arezzo c'era un professore che insegnava matematica al liceo scientifico ed era stato insegnante di Giulia. Alan e Giulia decisero di accompagnare da lui Deepak e Michele, con i loro genitori, ma alla fine venne solo il babbo di Deepak, perché il babbo di Michele aveva troppo da fare. Il professor Goretti era un uomo alto e robusto, con i capelli ricci, gli occhi chiari e l'espressione buona e allegra di un ragazzo. Avevano parlato prima al telefono e quando vide i due bambini, nel corridoio del liceo, sorrise e disse: “Sono questi i matematici in erba? Un po' sotto misura per me, che sono abituato a ragazzi più grandi.” Deepak, diritto e serio come sempre, gli fece uno dei suoi enormi sorrisi. Michele, più sornione, gli diede la mano. Il professore disse agli adulti di tornare fra un'oretta, mise una mano sulla spalla di ognuno dei ragazzini e se ne andarono chiacchierando lungo il corridoio. Alan, Giulia e il signor Bhat tornarono dopo un'ora, ma i tre non avevano finito, e li dovettero cercare nelle aule, che quel pomeriggio erano vuote. Li trovarono seguendo il suono di chiacchiere e risate. Il professore evidentemente si era divertito parecchio. I ragazzi uscirono nel corridoio, mentre Giulia, Alan e il signor Bhat parlavano col professore.
“Bene, professore, che ne pensa?” chiese Alan.
“ Una meraviglia! Sono veramente molto portati per le materie scientifiche. Il ragazzino indiano è dotato per l'astrazione, l'altro ha un'intelligenza più pratica, ma tutti e due si sono avventurati, con questi libri che hanno trovato in casa sua, Giulia, nel programma della scuola media e poi della scuola superiore. Molto divertente lavorare con loro, sono in sintonia, sono amici, e capaci di lavorare insieme.”
“E allora?” chiese il signor Bhat.
“Qual è la domanda?”
“La domanda forse è- disse Giulia- se vale la pena di farli seguire da un insegnante nel pomeriggio, o cercare per loro una scuola più adatta.”
“Sapete, non è la prima volta che mi capita un piccolo genio fra le mani. Ho avuto anche famiglie geniali, fratelli e sorelle molto bravi...ma solo raramente sono riusciti a sviluppare il proprio talento. Questo dipende forse da un'unica causa, che alla fine produce diversi effetti. Una volta che il talento è evidente, la famiglia comincia ad aspettarsi delle cose dal ragazzo o dalla ragazza. Lo sostiene, ma anche pretende risultati, magari non in modo esplicito, ma trattandolo diversamente dagli altri fratelli, rendendogli la vita più facile: “ tu non fare quella cosa., (per esempio lavare i piatti) è meglio se studi”, oppure comprandogli qualcosa, che in questo caso potrebbe essere un computer, di costoso e innovativo, come se investissero denaro ed energie...non so se capite il meccanismo...”
I tre annuirono. “Il ragazzo, o ragazza- continuò il professore- finisce per sentire una responsabilità che lo schiaccia, è troppo grande il timore di deludere i propri genitori, di mancare le aspettative e gli obbiettivi...Finché si arriva alla necessità di compiere la “performance”, che sia un corso universitario o un'esame specifico. E allora il peso che avvertono li fa crollare. Ho visto dei talenti puri naufragare in questo modo, pensarci mi fa ancora male. Ma eccoci a noi. Questi bambini, però, hanno una specie di “leggerezza”.. soprattutto Deepak, che pare sia lui ad averla insegnata al suo amico Michele.. non c'è competitività, non tanto fra loro, quanto con se stessi. Abbiamo fatto delle cose insieme e Deepak ad un certo punto si è bloccato, non capiva. Ho provato a forzare, ma lui mi ha sorriso. Tutto mi sarei aspettato fuorché un sorriso. Allora ho spiegato il passaggio che non gli riusciva. Michele ci è arrivato prima di lui, ma non gliel'ha fatto pesare, come se l'avesse preso per mano e aiutato a rialzarsi. Deepak ha sorriso di nuovo ed è volato avanti, precedendoci. Così si fa. Disciplina, serietà nel lavoro, certo, però elementi essenziali per procedere sono la leggerezza e la scarsa severità con se stessi, il dare il giusto peso al proprio lavoro.“ Alan, Giulia e il signor Bhat annuirono.
“Capisco- disse Giulia. E gli raccontò del doposcuola e di sua madre.
“Così la sua mamma è una delle loro insegnanti?”
“Ah no! No, lei ha solo proposto di usare la nostra casa della Chianella come luogo fisico per una specie di doposcuola. Poi sì, li ha seguiti, ma non per la matematica, solo che, dato che è stata lei stessa un'insegnante, si è accorta che questi due bambini avevano delle speciali abilità. Per questo ha mobilitato altri insegnanti in pensione. Sa, mio padre dice che la mamma è un catalizzatore, nel senso che quando lei è presente le cose avvengono..ma non se lei si impegna a farle avvenire. Anzi, più si impegna meno funzionano! E' piuttosto pasticciona!” Giulia raccontò del tentativo di coinvolgere la Serafina Raspoli riguardo al giardino di Irene. Risero, poi il professore chiese: “E ora è in coma?”
“Sì, una specie di coma... aspettiamo che si risvegli già da tanto tempo, ma non siano certi che accadrà..” disse Alan.
“Lei parlava della leggerezza di Deepak. - disse il signor Bhat- E' stato malato, leucemia..ha rischiato di morire e la sua è una delle prime guarigioni avvenute in seguito al contagio da SYM.”
“Il famoso Parassita! E' quel leggero luccicore della pelle?”
“Sì quello è uno dei segnali. Crediamo che Deepak debba quella che lei chiama la sua leggerezza all'esperienza prima di malattia e poi di guarigione. Il contatto col SYM gli ha salvato la vita. - Il signor Bhat parlava lentamente, in un italiano corretto, scegliendo le parole. -Vede, questa creatura è arrivata dopo un viaggio lunghissimo nello spazio interstellare alla ricerca della vita. Se lei potesse sperimentarne la presenza capirebbe.. La creatura prova un'infinita gratitudine e ce la comunica. Gratitudine, e consapevolezza della fragilità della vita, della sua rarità e della sua natura effimera..questo potrebbe generare chiusura e protezione, invece produce, in Deepak, questo senso di leggerezza. Ancora di più, pensiamo, nel mio bambino che è stato talmente vicino alla morte da guardarla negli occhi. Tutto per lui deve aver cambiato proporzione. Non so spiegarle meglio di così. Forse se avessimo fatto un viaggio di migliaia di anni nel buio e nel freddo del cosmo saremmo così anche noi nei confronti delle piccole sconfitte, o anche di quelle grandi. ” Tutti sorridevano. Il signor Bhat li aveva commossi.
“Credo- disse il professor Goretti- che potrei essere io l'insegnante dei ragazzi. Un paio di pomeriggi alla settimana .. che ne dite? Però dovreste portarli qui a scuola, accompagnarli o mandarli con la corriera.. Io non viaggio volentieri, non l'ho detto, ma sono malato. Non parlo di questo di solito.. è un tumore. Mi piacerebbe, prima di morire, seguirli per un po', non so quanto tempo mi resta. Quando non me la sentirò più vi avviserò. Siamo d'accordo?” Non restò che annuire. Giulia in cuor suo si augurò che il Sym trovasse affinità col professore.