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Channel: Iris e Libellule
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Rane, fiori...oops! Il fotografo!

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la rana nel latte.... sembra latte, ma non lo è, è brodo primordiale






dovrei pulire questa finestra, ma ora ho troppo da fare


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IL PALO E LA PIPA: buona Pasqua

Uccelli e gatti

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Non è per niente facile acchiappare in una foto un rigogolo, uccello grande più o meno come un merlo, ma con il petto giallo.



Quando si dorme sotto il glicine, sul tappeto di foglie asciutte, si va d'accordo. Di solito quello nero, Orazio, insegue la micia.


Qui siamo veramente molto in alto, dove arrivano pochissimi. Un giorno ho detto a Mauro che avrei voluto provare ad essere una poiana per vedere le cose da lassù, sentirmi sostenuta dalle correnti ed essere per un pò un rapace. Lui disse che poi non avrei voluto tornare indietro.

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Periodo denso di lavoro: la spalle e le braccia di Vitamina sono intormentite e dolenti. Vorrei che questa primavera lunga e gradevole durasse almeno altri tre mesi e che l'estate non fosse feroce. Il maggiociondolo (laburnum anagyroides) è in fiore da tempo, così anche la Kolkwitzia e le peonie si aprono piano piano... C'è un lato B non piacevole, tutta questa piacevolezza è gradita anche a molti insetti, coleotteri che mangiano le rose, anzi rodono proprio i bocci, lumache eccetera. Ci godiamo, sempre lavorando, queste giornate verdi, con tanti verdi in sfumature diverse, e tante forme delle foglie. Molte sono traforate dalle lumache, ma quest'anno, per la prima volta in vita mia, ho comprato il lumachicida per tentare di salvare qualcosa. Oggi che piove dovrò lavorare in casa, la casa è a tutti gli effetti quasi abbandonata, sono sempre fuori. Vorrei comprare una panchina, ne ho vista una molto carina, ma non so se lo farò. La panchina la comprerei  per guardarla,  non per sedermici, quando sto fuori lavoro sempre e non sto certamente seduta!
E' venuta a trovarmi la Paola e abbiamo fatto un giro in giardino che in questi giorni è la mia vera casa. E' difficile rendere un giardino con delle foto, si deve cogliere l'insieme e le foto sono sempre riduttive, si vede una grande insalata di foglie diverse, ma se si è qui si va a vederle una ad una, e si coglie il volo delle prime libellule turchesi, la folla delle rane (vera folla!), l'arrivo dei pesci nella zona libera del laghetto, una gatta che dorme nascosta in un ciuffo d'erba ed è quasi invisibile, le rondini che sono tornate numerose e garriscono allegre, il canto di tanti uccelli diversi...

Ci sono in giardino tre fenomeni : i due cespuglioni di ceanothus  azzurri, due palle enormi coperte di palle più piccole composte di fiori piccini,  la cascata d'oro giallo del maggiociondolo e la rosa banksiae, sì, anche quella è tutta fiorita. Ci sono tanti profumi, quello fresco della banksiae, qualche zaffata dagli iris, e l'odore di miele dei ceanothus. Sembra di avere un enorme barattolo di miele aperto e le api sono arrivate, un alveare intero, credo, a raccogliere il polline. Povere bestioline, ce la mettono tutta per sopravvivere e io le aiuto con i miei fiori. Alcuni anni fa la mia amica Stella mi regalò una piantina di aspidistra, quella pianta dalle lunghe foglione scure degli ingressi delle case negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. Ora ne ho diversi vasoni pieni e un pomeriggio ne ho diviso una pianta che era diventata troppo grande e aveva perfino rotto il vaso di plastica. E' stata un'operazione cruenta, si fa per dire, a colpi di roncola per separare in due parti l'intrico duro delle radici, ma mi ha permesso di vedere per la prima volta nella vita i fiori dell'aspidistra. Piccoli, di un materiale fragile e quasi vetroso, sembrano animali rossastri nascosti in basso alla base delle foglie! 
Si impara sempre qualcosa di nuovo, non c'è che dire, anche stando a casa propria. 
In giardino coltivo delle palle, (mi piace molto la forma a palla) di artemisia abrotanum, un'erba dalle foglie fini, filiformi, con un odore forte; nel giardino della Landriana, la guida disse che la chiamavano la pianta della Cocacola, perché ha odore di Cocacola. A me non sembra, però è una pianta bella e molto odorosa che si lascia potare e resiste bene al secco. Una di queste mattine ci ho visto sopra una macchia... guardando meglio si trattava di una gran quantità di ragnini nati da poco, posati su una ragnatela finissima e quasi invisibile, un piccolo nido al sole. Ne ho trovati altri , sempre sull'abrotano, e ho chiesto a Mauro di fotografarli per farveli vedere. Peccato che non si veda quando ci si soffia sopra: tutti i ragnini si muovono e si spostano verso i margini della ragnatela. I ragnini sono piccolissimi e perfetti, come tutti i neonati sani, hanno perfino un disegno elaborato sull'addome, che la mia vista non più ottima non mi permette di osservare come vorrei. Fioriscono di nuovo gli/le iris e stavolta pianto tutti i pezzi di rizoma che trovo, per non rischiare di perdere una delle tante varietà che ho raccolto e ricevuto dalle amiche.







Uovo "bollio"

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Alcune foto al fulmicotone ( ma che sarà il fulmicotone?) anche se manca sempre una visione più generale di questo piccolo spazio che assorbe lavoro come una spugna assorbe l'acqua. Ho commissionato al fotografo ( che sarebbe mio marito, quello che da furbone qual è mi definisce la sua sette ottavi, non la sua metà) alcune foto d'insieme e ho anche suggerito degli scorci... speriamo che si impegni. Quando si impegna tira fuori delle foto veramente belle. Stamani è fiorito un iris meraviglioso che spero di poter mostrare presto. Sulla vasca è arrivata la libellula panciazzurra, che si chiama in realtà libellula depressa, ma non mi pare depressa per niente, anzi è molto vispa, ed ha subito lottato con altro maschio arrivato a reclamare la proprietà dello stagno. Mauro mi ha detto che dovevo aver già provveduto a mettere  una canna lunga per la libellula, ne ha messo lui una provvisoria e immediatamente la libellula ci si è posata. Alle libellule piace moltissimo avere una visione panoramica dall'alto.









In questi giorni ho continuato a dividere le mie aspidistra, ora ne ho nove vasi belli grossi. "Che te ne fai?" direte voi. Mi piace l'abbondanza. 
Sono passata un paio di volte in un negozio di giardinaggio e mi sono riempita di piantine da sistemare nei vasi, annuali per colorare l'estate. E' la giardinite compulsiva,  in una forma grave, non c'è che dire. 
Mia figlia ha aiutato la sua insegnante ad organizzare un convegno filosofico su Benjamin Fondane, un filosofo rumeno morto in campo di concentramento. Mi ha chiesto di preparare due bouquet per il tavolo degli oratori e io ho detto di sì. Subito dopo mi è venuta l'ansia: che fiori avrei usato, quando avrei dovuto farlo perché rimanessero freschi? Dove trovare la spugna da fiorai? Che contenitori usare ? Entro in agitazione facilmente. Sono riuscita a procurarmi la spugna e due cestini rivestiti di plastica, ma lo stesso la notte prima non ho dormito bene, ogni tanto mi svegliavo e mi chiedevo quale verde usare come base: il mirto, per esempio? 
Alle sette ero in piedi in giardino a cogliere quello che mi serviva. Ho fatto la base con rametti corti di mirto, poi ho messo altri rametti più lunghi e fioriti di kolkwitzia, poi qualche iris hollandica, qualche peonia in boccio, rose,  fiori di acanto, foglie grandi e tondeggianti di bergenia, alla fine gaillardie e rametti di phlomis. Tutto l'arcobaleno, però era abbastanza bello. Sì, avrei dovuto fotografare, ma non sto sempre con la macchina fotografica in mano, anzi mai.  Mia figlia era contenta e questo mi basta, anche perché ho fatto tutto in orario perfetto.  
Sembra facile fare una composizione, e in fondo lo è, se si  fa  per se stessi o per un'amica, ma se si deve fare per un'occasione ufficiale tutto si complica. Inoltre certi fiori meravigliosi non possono essere usati come fiori recisi, perché appassiscono subito, oppure hanno un portamento , come il maggiociondolo, che non si presta, o si sciupano a guardarli, come i giaggioli... 
Una bella notizia: si è arrestata la caduta delle foglie degli olivi ( sono venuti apposta i carabinieri) e ora fioriscono. Che bellezza! Magari a novembre facciamo l'olio!

Per Sari: non ho la plumbago, ho provato in passato ma è morta durante l'inverno, e riproverò solo se riuscirò a farmi una buona serra, uno dei tanti progetti che ho da parte. Sono d'accordo che il suo azzurro sia uno dei più belli del mondo vegetale. Però ho il ceratostigma plumbaginoides, azzurrissimo anche lui. 

Per Francesca: perché le galline facciano le uova nella cassettina che hai predisposto dovresti lasciarci dentro un uovo. Un uovo finto o un uovo molto vecchio. Questo mi ricorda una storia della nostra vita in campagna di tanti anni fa, quando ero una ragazzina, quindici o sedici anni. Tenevamo le galline in un podere dove non abitavamo, ma la mia mamma ci andava quasi tutti i giorni. 
Non solo avevamo i polli per mangiare, ma le galline diventavano chiocce e covavano, solo che non tutte le uova andavano a buon fine, alcune non erano fecondate oppure si raffreddavano durante la cova e non ne nasceva niente. Si diceva che quelle uova erano erano "boglie",con questa parola che dubito che qualcuno avesse mai scritto. Quelle uova vecchie si lasciavano come segno nelle cassette, perché le galline se vedono un uovo ci depositano più volentieri. Solo che quando si andava a ritirare le uova era difficile distinguere le uova buone da quell'altre e se capitava di aprirne uno per una frittata il puzzo ci mandava via dalla cucina. Il mio babbo ebbe l'idea di scriverci sopra col pennarello. Non sapeva come scrivere quella parola solo dialettale e scrisse "uovo bollio". Ci si rise una settimana. 

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Per la Loretta: Grazie tanto per gli auguri e con l'occasione ti dico che le piante che mi portasti l'estate scorsa stanno bene, la salvia ha fatto i suoi fiori bicolori e è raddoppiata, l'equiseto palustre vegeta, la clivia l'ho trasferita in una vaso più grande pieno di composto ... e anche le altre stanno bene: perfino mi pare di aver visto qualche piantina di impatiens Balfouri! Finalmente il coniuge ha fatto delle foto di scorci del giardino e le metto qua con gran piacere!
Ripeto che non è facile rendere un giardino con delle foto, in fondo un giardino si fa per viverlo, per viverci, non per fotografarlo. L'ultimo passo, per chi è interessato, è venirci. 











Rospo scatenato e farfalle liberate

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 Cronache dal giardino di Vitamina. 
Mercoledì, è il giorno di riposo di Vitamina, nel corso del quale di solito lavoro, però all'aperto, fra orto giardino e oliveto. Stamani non sapevo da dove cominciare tante erano le cose arretrate, ma una ha prevalso su tutte: il trapianto di parecchie piantine comprate nei giorni scorsi per far colore in estate. Avevo già dei vasi vuoti e ho cominciato col procurarmi il terriccio in un vecchio cumulo del composto. Scava che ti scava con la paletta ho trovato qualcosa di giallino e rotondetto: una patata! Mi sono detta. Ma si muoveva. Le patate non si muovono, perciò era un rospo. Un rospetto, proprio dove ne trovai uno lo scorso anno di questi tempi. Non può essere lui, è più piccolo.  Sarà un parente. Se ne andrà, ho pensato. Sono tornata dopo un pò a rifornirmi ancora e ancora, ma il rospetto stava sempre lì, vivo, con gli occhi aperti. Mi sono accorta che era legato da un tenace stolone di gramigna. Questo poveretto si era addormentato, forse!, in autunno o in inverno dentro il terriccio caldino, e gli è cresciuta

Tutte queste ranocchie, non sono un pò inquietanti, Loretta?


intorno una gramigna. Ho provato a tirare, ma avevo il timore di dividere il rospetto in due, che non sarebbe stata una bella cosa. Poi gli ho girato intorno, ho scoperto l'origine della gramigna, e ho tirato più forte: Plop! Il rospo era libero e subito si è arrampicato sul composto per allontanarsi. Quindi oggi ho la storia minima di  Rospo scatenato. 
Ho un'altra storia minima. Mauro girava per il giardino con la macchina fotografica e mi ha chiamato a vedere una cosa. Due farfalle gialle : una che era rimasta attaccata ai fiori del centranthus come morta. Capita di vedere le farfalle così, perché sui fiori stanno dei graziosi terribili ragni che si mimetizzano assumendo il colore del fiore o dello stelo e appena un insetto si posa lo catturano e lo immobilizzano con il loro veleno. Tremendo. Ricordate la ragna Shelob del Signore degli anelli?


Ecco le due farfalle, una immobile e l'altra che le vola intorno impazzita






libere e insieme
L'altra farfalla le volava intorno impazzita: ma che fa? Ci siamo chiesti. Volava e volava intorno al fiore e alla compagna finché quella, con uno slancio improvviso, si è liberata e sono volate via insieme in un volo che era chiaro, era un volo amoroso. 



GRANDINE

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E' tanto tempo che non scrivo più niente e il blog cade nell'oblio, nel "dimenticatoio", com'è giusto che sia. Perché non si scrive più? Perché si è troppo stanchi. Perché il dialogo interiore, da cui gli scritti traggono l'origine, si affievolisce e si indebolisce. Perché è difficile vivere nelle contraddizioni e soprattutto raccontarle. Perché alcune situazioni che avvengono pongono problemi non banali che non si sa risolvere e neanche tanto bene spiegare. Proviamo a scrivere di una di queste cose. 
E' grandinato. Anche gli anni passati è grandinato, ogni tanto. Le grandinate erano eventi piuttosto rari e distruttivi da ricordare con paura. Ma ora era grandinato già dieci giorni fa, quando passai da Tegoleto, un paesino in direzione di Arezzo, e aveva appena piovuto: al bordo della strada c'erano dei mucchi di roba bianca. Per qualche secondo pensai che fosse polistirolo, invece era grandine, ammucchiata come neve. A casa nostra ne era venuta solo un pò e io avevo ringraziato il cielo di averci risparmiato. Ora è toccato a noi, dopo quella settimana /dieci giorni di caldo esagerato che aveva cominciato a seccare tante piante. Correnti fredde da nord e torride da sud che si incontrano e generano la grandine, grossa, come uova di quaglia o di gallinina mugellese. Le pietre della scala esterna sono macchiate dove è caduta, i secchi rotti, le sedie robuste di plastica scalfite. Si può immaginare l'insalata, i pomodori, l'uva. Per non parlare dei fiori. Forse in parte si salvano le olive, anche se dobbiamo ancora affrontare l'estate piena e poi l'autunno...chissà che potrebbe ancora accadere. 

Mi stupisce sempre il commento di certe persone: "Avere la terra non è un guadagno!" ha detto una donna, come se alla fine la cosa non la riguardasse. Come se alla fine anche lei non mangiasse ciò che la terra produce, da qualche parte. C'è questo atteggiamento che non ho mai sopportato, di chi non sono mai affari suoi, ed è meglio se rimane il caldo a trentacinque gradi, tanto loro escono solo col fresco, per il resto vivono in ambienti con aria condizionata, che anche quella contribuisce al riscaldamento complessivo, e neanche si accorgono che perfino gli insetti vanno a bere e si affollano intorno alle sorgenti d'acqua. Questa gente si intenerisce tanto alla notizia di cani o gatti maltrattati, ma non pensa mai per esempio ai selvatici assetati dalla calura, o affamati perché tutto si è seccato, o spaventati a morte dalla grandine a cui non possono sottrarsi.  
Poveri noi, se non fosse che la grandine, così frequente e distruttiva, o le alluvioni, o il caldo esagerato, o le tempeste di ghiaccio, sono solo l'atto finale di una serie di azioni volontarie, compiute in piena coscienza dagli uomini di questo pianeta contro l'equilibrio che sulla terra si era instaurato, precario, delicato, da cui dipende la vita stessa degli uomini come specie. Parlando col nostro vicino di casa mi è venuto da dire che gli errori degli anni passati, quando si pensava che le risorse fossero infinite e la terra in grado di accogliere i nostri rifiuti all'infinito, quegli errori ci tornano in testa dal cielo. Per un tempo che poteva essere una ventina di minuti o forse meno, che noi abbiamo percepito più lungo di un'ora, è grandinato. Sembrava che mitragliassero il tetto della casa e ancora dobbiamo salire a vedere i danni. Finita la grandine, sono andata a lavorare in città e ancora diluviava, certe parti della strada erano allagate e ho dovuto cambiare itinerario, pensando che ci sono stati casi in cui si è sottovalutato il pericolo e ci si è trovati in un sottopassaggio allagato, a morire come topi. Queste situazioni diventano frequenti e difficili da affrontare, bisogna agire con tutti i sensi allertati e il cervello ben acceso.  Nonostante tutto mi è venuta una certa eccitazione. Distruggi, e io ricomincio. Il giorno dopo ero già con le forbici e il tagliaerba a sistemare, togliere il secco, il fradicio, e tutto ciò che era stato spezzato e buttato a terra. Sotto la pergola c'era un tappeto di tralci e foglie, e grappoli, purtroppo. Via tutto nel cumulo del composto e si riparte. Purché i potenti che ci comandano, comandano e non governano, si sveglino, per piacere. Fra poco ci sarà un altro incontro sul clima: SVEGLIA!

Recinti, visitatori notturni, prede e predatori.

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Un giardino è un "luogo cintato", credo che questa sia l'etimologia della parola, in una antica lingua celtica. Dei recinti ho già parlato in passato  qui. Quando 14 anni fa venimmo ad abitare in questa casa un punto a favore fu il recinto, che impediva ai cani di uscire e ai selvatici di entrare, almeno a quelli sopra una certa dimensione.
Recintare  è "chiudere", "separare", creare un confine dove prima non c'era, proteggere uno  spazio dalle invasioni esterne, tutte cose che sembrano negative e in parte lo sono. Ma tutte queste cose sono necessarie se si vuol coltivare, o allevare, qualcosa di delicato che in uno spazio del tutto aperto troverebbe dei competitori o qualcuno che se lo mangia. Chiudersi dentro un giardino può significare isolarsi, un giardiniere è quasi sempre un individuo solitario e il rischio di diventare un misantropo svalvolato è reale. D'altra parte fare un giardino può significare l'opposto,  e cioè aprire strade, fare nuove esperienze, andare a visitare altri giardini, fare nuove amicizie... quindi il recinto iniziale non è che il trampolino per un balzo in avanti... dipende tutto da come si usa il recinto. Ragionare sul recinto, fatto di rete metallica o di idee e comportamenti, è sempre utile, è un argomento davvero interessante e coinvolgente, che riguarda la vita di ogni giorno. Ogni tanto mi tocca tornare a pensare ai recinti e ora racconto perché. Chi mi legge sa che qualche anno fa ho fatto una vasca, abbastanza grande, di forma più o meno circolare. L'ho proprio fatta con le mani, mi ci è voluto anche parecchio tempo per scavare a sufficienza, spostare i sassi e la terra... è stato un piccolo intervento di ingegneria ambientale! 
Alla fine l'ho rivestita di feltro e di un telo robusto di plastica e ci ho messo l'acqua solo fino a metà, per far assestare il telo e sistemare i bordi. Dopo due giorni sono arrivate le libellule. Anche questa storia l'ho già raccontata da qualche parte. E' molto bello vedere arrivare le libellule dove prima non c'erano. C'è chi ha paura delle libellule, ronzano forte e sono insetti piuttosto grandi, alcune di loro, e aggressive: la vasca è subito la loro e si aggirano intorno controllando la situazione. Non ho paura delle libellule, né io né i miei. Mi piace molto avere libellule intorno a casa, dalla vasca salgono alla terrazza superiore e trovo i graziosi gioielli turchese metallico un pò dappertutto. Le libellule avevano oltrepassato il recinto. Anzi per loro il recinto non esisteva affatto! Credo che siano passati almeno sei anni da quando ho fatto la vasca e la situazione si evolve ancora. E' la vita, tutto cambia di continuo, ma certe volte non so che fare, se assecondare il cambiamento, o resistergli, almeno un pochino!  La vasca è il vero cuore del giardino. Quando, dopo aver lavorato nei campi, si risale verso casa (il terreno è tutto in pendenza) il piano della vasca è quello della civiltà, dove le piante sono più o meno rigogliose, l'erba è tagliata, e il cielo si riflette nell'acqua della vasca, manufatto umano perfettamente integrato nel paesaggio, in cui i pesci rossi, in questa situazione assolutamente artificiali, prosperano senza riuscire più a riprodursi. Avevo messo accanto alla vasca un ceanothus, stimolata da una foto vista su Gardenia. Ma non pensavo mai che la piantina ottenuta da talea sarebbe diventata gigantesca e mi avrebbe costretto a lavorare per toglierle d'intorno molte altre piante che rischiavano di essere soffocate. 
Già lo scorso anno avevo visto un serpentello nell'acqua e avevo pensato"Ahi ahi!" 
Nient'altro, solo Ahi ahi, perché sapevo che le cose si sarebbero appunto, evolute. 
Questa primavera un amico venuto a trovarci ha sentito il cracra delle rane e ha voluto vedere la vasca. Lungo il bordo, dove ho realizzato la seduta, c'era una pelle di serpe che evidentemente aveva fatto la muta proprio lì.  In seguito l'abbiamo visto, forse più di uno... una famiglia? Sono animali molto discreti, ma non piacevoli da avere intorno a casa.  Serpenti d'acqua, bisce. Per loro il recinto non è sufficiente, come per le libellule. Come saranno arrivati? Gli animali sentono il richiamo dell'acqua, ma anche quello, molto forte, delle ranocchie. Mia figlia un pomeriggio ha sentito una rana fare un verso strano. C'era il serpe che la stava uccidendo per mangiarsela. Lei ha provato a uccidere il serpe con una canna, ma immagino che non gli abbia fatto niente, e difatti quello si è portato la rana nell'ombra del ceanothus. Vedete come tutto coincide? Si fa una vasca, si pianta un arbusto e si ottiene una caccia in piena regola, cacciatore, preda e nascondiglio del cacciatore. Ma io avevo fatto un giardino dell'Eden, in cui tutti vanno d'accordo! Ma no, era l'Apocalisse: il lupo e l'agnello dimoreranno insieme, la pantera si sdraierà insieme al capretto...
La presenza del serpente, o dei serpenti, per quanto non pericolosi per noi, mi ha turbato. "Che bel giardino, dice una signora in visita..oh mamma, e quel serpente? "

E ora che si fa? Prima possibilità: in autunno si elimina la vasca. Soluzione drastica, ma soluzione totale. Tolto l'habitat, eliminato il problema.
Seconda possibilità: sangue freddo e si guarda che succede, se si incontra il serpente si ammazza, superando il ribrezzo.
Gli uomini hanno sempre ucciso per difendere i loro spazi cintati!
Io non sono così brava, per cominciare a ammazzare le lumache ho dovuto aspettare che diventassero un vero flagello.
Poi ho cominciato a immaginare cose poco probabili, come il fatto di prendere un furetto. I furetti dovrebbero essere bravi a prendere i serpenti, dovrebbero essere i loro naturali predatori . Ma poi come andrebbe con i gatti e con la Holly?

Una mattina ho trovato una cacca, delle dimensioni della cacca di gatto, su uno scalino davanti al finestrone. Ovvio che i gatti non fanno la cacca così in vista, sono molto discreti e riservati in queste cose, e poi ricoprono gli escrementi. Ho tolto la cacca e tenuto a mente la cosa . Un'altra mattina dopo una grandinata ho trovato un iris spezzato. 
Spezzato o anche mangiato? 
Qualche altro giorno: un'altra cacca tipo quella di prima e il solito iris, oltretutto di quelli bellissimi del giardino degli iris, quasi del tutto mangiato, con segni molto visibili di denti. Ci vorrebbe Sherlock Holmes. Chi sarà che mangia iris e fa questo tipo di cacca? Mauro ha fatto un giretto fra i pomodori: nonostante la grandinata devastante stavano maturando i primi frutti...ma un momento! Qualcuno ha morsicato i pomodori!!
Mauro ha cominciato a fare le più disparate ipotesi, fra cui, veramente sballata, quella della tartaruga, una tartaruga grossa, che avrebbe mangiato per prima l'insalata, invece l'insalata non è stata toccata... secondo me è un riccio. Altre volte abbiamo avuto dei ricci in breve visita, perché i cani li hanno disturbati. Come mai questo rimane? Sarebbe il benvenuto, perché i ricci tengono a bada i serpenti, ma come si fa con i pomodori? E gli iris, e le melanzane? E se gli piacciono anche le zucchine? Le zucchine, che dopo essere state massacrate dalla grandine hanno rimesso su delle magnifiche foglie/ fabbriche fotovoltaiche, ora sono nel pieno della produzione di certe meravigliose zucchine striate fiorentine. 
La situazione è in evoluzione, ancora e sempre. L'aspirazione sarebbe di stare tranquilli entro i propri recinti, recinti fisici, recinti mentali, ma non si può. Figuriamoci! Entrano migliaia di persone ogni giorno in Italia dal mare, grande recinto, barriera, ma anche strada... pontos, uno dei nomi greci del mare, significava strada per andare in ogni luogo, e dai latini diventò "ponte", strada che collega due rive di un fiume,  due luoghi, o due modi di pensare... 

panorama d'estate in val di fiemme: alberi che suonano

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Prima di tutto un grande saluto ai blogger amici , soprattutto signore, a Sari , Loretta, Cinzia, Strega e tutte le altre e gli altri. Siamo stati qualche giorno in val di Fiemme. Come mi piace la montagna! Direi che è proprio amore. Non uso spesso questa parola, e quando la uso vuol dire che sono davvero coinvolta.
Amo molto anche questo posto in cui vivo e mi rendo conto che tante persone ci invidiano il fatto di abitare nella campagna toscana; più passa il tempo e più lo apprezzo e me ne sento parte.  Eppure quando con l'auto saliamo le lunghe strade di montagna, i tornanti che si susseguono fra boschi e prati, ho la sensazione di tornare a casa.
L'acqua del Travignolo
Sono stata in montagna la prima volta con Don Sergio, che insegnava al liceo e aveva raccolto un gruppo di ragazzi a cui proponeva attività e vita comune durante tutto l'anno e in estate una vacanza/seminario di dieci giorni in luoghi delle Alpi sempre diversi. Quella prima volta ( la prima per me , che

Il ponte elfico sul Travignolo





avevo 15 anni) andammo ad Auronzo di Cadore, in riva ad un piccolo lago fra i boschi. Di solito andavamo in case di religiosi, strutture spartane e essenziali con camere a 4 o 5 letti e bagno comune.  Se non sbaglio non c'era nemmeno l'acqua calda, ma io, eroica, mi facevo la doccia lo stesso volentieri con l'acqua ghiacciata di montagna. Era una casa di suore, abbastanza arcigne e infastidite dalla nostra confusione. Forse avevano ragione: eravamo sempre tanti, ora non saprei dire, ma circa quaranta adolescenti, per quanto liceali piuttosto beneducati, possono essere difficili da sopportare. Le suore, quella prima volta, cucinavano davvero male, le pietanze avevano un gusto tutto uguale, che somigliava alle facce antipatiche delle religiose, ma noi assaporavamo altre esperienze, la compagnia reciproca, la fatica delle lunghe escursioni, l'aria profumata di resine, erbe e fiori, l'acqua limpida dei torrenti e le parole del Vangelo che colavano su di noi come una pioggia d'oro. Mi ricorderò sempre una ragazza nuova, che era con noi per la prima volta, la Lella, che veniva da un'altra scuola, non dal nostro liceo, e io la snobbavo un pochino. Entrò nella camera che ci avevano assegnato, se non sbaglio con noi c'erano anche la Ida e la Silvana, che era più grande, a cui forse Don Sergio aveva assegnato un compito di sorveglianza di noi più piccole. La camera era semplicissima, ma aveva il pavimento e le pareti di legno, e per tutte noi era una piacevole novità. La Lella, per la felicità di tutto, della camera tappezzata di legno, di dormire tutte insieme, di stare insieme per tanti giorni, si mise a ridere e gridare e saltare sul letto! Me la vedo ancora rimbalzare come una molla! Il letto alla fine era una cuccia. Era impossibile non volerle bene  e tutto il mio snobismo fu spazzato via dal suo entusiasmo! In effetti credo che sia sempre una donna meravigliosa. Uscite dalla casa la prima piccola passeggiata intorno al lago mi fece scoprire i fiori alpini. Erano dappertutto! I prati, i bordi delle strade erano disseminati di margherite, campanule, achillee, centauree, myosotis, e le sponde dei corsi d'acqua erano invase da fiori di cui allora ignoravo i nomi. In seguito li andai a cercare nei libri. Credo che quelle vacanze in montagna siano una delle origini della mia passione per il giardino. 

In seguito Mauro e io siamo andati in montagna parecchie volte, anche con le nostre bambine. Fino ad alcuni anni fa desideravo salire, andare in alto, sempre più in alto. Quest'anno ho apprezzato tutto. Il secondo giorno abbiamo fatto una meravigliosa passeggiata in piano intorno al lago di Paneveggio, nel bosco dove crescono gli abeti di risonanza, chiamato anche la "foresta dei violini". Il legno di questi abeti rossi, per le condizioni climatiche e il terreno in cui vegetano, si presenta omogeneo, con anelli di crescita equidistanti e quasi privo di nodi. Riporto qui un brano pubblicato dalla Provincia di Trento:

nell'ambito del legno pregiato per la costruzione di strumenti musicali viene chiamato "Mondholz", legno lunare, quello di abete rosso (Picea abies Karst), tagliato nei giorni seguenti il novilunio di dicembre. Una parte dei tronchi ottenuti vengono immessi nel torrente Travignolo dove l'acqua invernale provvederà ad accarezzarli, scuoterli, farli vibrare e suonare. A maggio verranno prelevati e lavorati per ricavarne tavole di legno "lavato". Questo legno, apprezzato da numerosi liutai, si distingue per leggerezza e ricchezza di vibrazioni armoniche che riesce a produrre e trasmettere all'intero strumento musicale.

Metto qui due link per chi è curioso : questo e questo. La presenza degli abeti maestosi, l'acqua che scende pulita e fredda fra i massi scuri di rocce vulcaniche, la luna in cielo che dialoga col legno e con le creature del bosco e infine la musica degli uomini, attività puramente creativa e gratuita che ha bisogno per esprimersi di quel legno e di quei boschi, tutto questo fa  sentire immersi in una dimensione che non direi magica, ma veramente Umana, l'unica dimensione reale che nutre e fa crescere le parti migliori di noi. Una vacanza in questi posti è un'esperienza da custodire e non, come dire, uno status symbol da esibire.

Il porcino

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Eravamo in montagna da un paio di giorni. Un giorno era piovuto e  avevamo tentato di andare a visitare il museo geologico di Predazzo, che era chiuso, di visitare ugualmente un negozio di stufe in ceramica, chiuso anche quello, di individuare una fabbrica di case in legno, vista durante il viaggio di andata e mai ritrovata... Il giorno che era piovuto era da dimenticare. Quello dopo, però, fin dal mattino presto si era presentato attraente. Il cielo era terso, questa bella parola in disuso che mi fa venire in mente un lenzuolo pulito di bucato sbattuto forte al sole. C'era solo qualche nuvola candida che correva nell'azzurro. Avevamo lasciato l'auto all'inizio di un largo sentiero, una carrabile chiusa da una sbarra, che serve ai residenti per il trasporto della legna. All'inizio della strada un palo con una serie di piccoli cartelli che indicavano tante direzioni: il forte Dossaccio, la malga Bocche, il lago Bocche e altre più lontane... i cartelli hanno sempre, per me che devo incamminarmi, il fascino delle nuove possibilità e mi fanno venire una punta di eccitazione in fondo alla spina dorsale. Che ci sarà di là? E di là? E come sarà il lago? Sapevo bene che dopo un pò quell'eccitazione si sarebbe trasformata in un'altra cosa, fatica e un inizio di noia, e la voglia di tornare indietro, o fermarsi... nel cammino c'è sempre quel momento, almeno per me, e sapevo che l'avrei superato, o ci avrei provato. Ci incamminammo e l'aria era fresca  e  perfino fredda e il bosco intorno verdissimo e quasi indifferente a noi che procedevamo lenti, per evitare di avere subito il fiatone. Solo le cornacchie, in alto, avvisavano che stavamo passando: umani sulla via!
Mi pareva di nutrirmi attraverso il naso e gli occhi: odori di bosco umido e alberi dritti, così dritti che vederne solo uno storto dava la sensazione di infermità. Mi fermavo spesso: al margine della strada un fiore aveva attirato la mia attenzione. Erano fiori già incontrati tanti anni prima e rivederli era rivedere un amico: un cespo piccolino di Pinguicola. Il nome, ritrovato nel ripostiglio della memoria, saliva da solo alle labbra e lo pronunciavo ad alta voce, poi più piano, per non irritare mio marito. Non voglio fare la maestrina. Pinguicola: piantina delle zone umide, una piccola gola colorata, petali blu/viola... cattura gli insetti.. non ricordavo più se era il fiore o la foglia a farlo...
Avanti sulla strada. Una pigna quasi blu. E rotonda. Non è di abete! Da dove è caduta? Alzai gli occhi e vidi fra i pecci un pino cembro. La pigna era sua. Che profumo! 
La misi, incartata, nello zaino. Forse era vietato anche quello, come era vietato raccogliere funghi, sciogliere i cani, disturbare i selvatici, accendere fuochi... tanti divieti, ma li capivo, era come camminare in un santuario, anche se si trattava di un bosco ceduo. Ma come si fa a non portarsi via qualcosina? Ora c'era una pianta di trollio: trollius europaeus, una specie di grande ranuncolo giallo con molti petali avvolti uno sull'altro, una palla carnosa e fresca. Che meraviglia! La stessa provata a 15, 16 e 17 anni, le prime volte che salivo in montagna.
Mauro mi chiamò, era salito al margine della strada e c'era qualcosa: un porcino! Un porcino enorme, del diametro di almeno 20 centimetri, cappella circolare, rotonda, lucida e intatta, gambo carnoso e perfetto!
Mauro, che è un cercatore di funghi molto bravo, scostò i rami tagliati di abete e trovò altri tre fungoni, di cui uno già mezzo marcio.
L'entusiasmo si espresse sottovoce, perché poco lontano, al tornante precedente, c'era un uomo che puliva intorno agli abeti. 
"Erano anni che non vedevo un porcino nel bosco, e questo è enorme!"Dissi io, che tutto trovo meno che funghi.
"Risotto per almeno dieci persone!" 
"E fritto come sarebbe?"
"Lo prendiamo?"
"E' proibito! Se ci trovano!!"
"Sì, poi dobbiamo ancora camminare tanto e nello zaino si sciuperebbe..non lo prendiamo, ma ricordiamoci il posto.." 
Mauro mise un segno di riconoscimento e si guardò intorno, alcuni alberi erano segnati di vernice rossa. Forse significava che dovevano essere abbattuti. "Questo posto lo ritroviamo di sicuro. Poi decideremo.." Fra gli abeti corse via una lepre. Mauro disse: "Una lepre variabile! Porta bene, una lepre!" Era la seconda che incontravamo dall'arrivo in Val di Fiemme.
Camminammo ancora a lungo,  sempre da soli, la strada saliva in tornanti che però non ci stancavano, con tutte le cose belle da guardare, finché arrivammo ad un pianoro, con un ponticello su un piccolo torrente, dove c'era una famiglia, babbo mamma e due bambini piccoli. Sorridevano, i bambini erano stanchi di camminare. A noi parve di vedere la nostra famiglia tanti anni prima. 
Il panorama si allargò all'improvviso e verso est apparvero le Pale di San Martino. Ah! Ora camminare era lieve, bastava agganciarsi alla visione e si era trascinati da quella. 
La malga era vicina, Mauro fece tante foto e io guardai soltanto. Puoi fare tutte le foto del mondo, ma bisogna esserci. Patrimonio mondiale dell'Umanità. Questa visione è Patrimonio mondiale dell'Umanità. Ci deve essere del buono negli uomini per dichiarare una cosa immateriale, un panorama, un'immagine, patrimonio mondiale dell'Umanità. Significa che se si perdesse si perderebbe una cosa preziosissima. E poi immateriale? Certo, immateriale è l'immagine sulla retina dell'occhio, ma materialissima è questa terra, e tutta la storia di migliaia di anni di pascolo, lavoro, frequentazioni e salite in quota... è natura fortemente antropizzata! Mi tornavano in mente certe parole di Reinhold Messner, quando diceva che il territorio alpino era il risultato del lavoro dei contadini/allevatori sommato alla natura. Noi siamo natura. Ero commossa, per i pensieri, per la bellezza e l'armonia del contrasto fra i pascoli e le alte vette rocciose.
In basso una mandria di mucche scampanellava forte. Due vitelli giovani: uno fermo e l'altro che gli correva incontro, non si capiva se era festoso o aggressivo. Frenò prima dello scontro, e cominciarono a giocare dandosi delle testate affettuose. Animali liberi e felici. 
Decidemmo di procedere ancora un pò verso il lago Bocche, anche se in quella direzione il cielo era grigio cupo. Era diverso da qualche anno prima, quando ci sentivamo obbligati a raggiungere la meta. Possiamo anche tornare indietro, ci dicemmo, e  così andammo avanti. Il paesaggio ora cambiava del tutto. Il bosco fittissimo di abeti si diradava, comparivano larici e pini cembri, poi c'erano solo loro, molto più distanti uno dall'altro, e in mezzo una radura attraversata da un piccolo torrente che si divideva in tanti rivoli: un prato bagnato di alta montagna. Poco dopo, quando il sentiero ricominciava a salire, le radure erano ricche di felci, rododendri fioriti e massi erratici, si chiamano così le grandi rocce trascinate a valle dai ghiacciai. Il giardino di Dio, pensai io, che giardiniere ispirato! Una cornacchia ci precedeva e annunciava il nostro passaggio. Ogni tanto Mauro le faceva il verso e le gridava di stare zitta. Camminammo ancora fino ad una capanna segnata sulla cartina, ma il cielo era veramente scuro e minacciava pioggia, decidemmo di tornare indietro. 
Ci si fermò a mangiare alla malga, davanti alle Pale di San Martino velate o coperte da nubi rapide che ne nascondevano solo delle parti. Se fosse la camminata o il panorama non so, ma la polenta calda con i funghi e la tosella era buona almeno il doppio di quanto mi sarei aspettata!
Dovevamo tornare a valle. Scendemmo per la strada di prima e quando pensavamo di essere vicini al Fungone cominciammo a guardar bene sul lato della via.  Non ci era uscito di mente. 
"Non lo possiamo prendere." 
"No- dissi io- ma almeno rivederlo..."
Non c'erano più nemmeno gli abeti segnati di rosso.  Li avevano già abbattuti e portati via. Mi sembrava di essere Pollicino quando aveva lasciato le briciole di pane per ritrovare la via: qualcuno le aveva mangiate tutte. Pazienza! Mauro però non si arrendeva: tornò indietro e cercò come un segugio, alla fine trovò il posto dove, dei fungoni, restava solo un pezzo di gambo.
"Li ha presi quello della legna.."

"Forse ci ha sentito esclamare.."
"Ma l'abbiamo fatto sottovoce..."
Ora ridevamo.  Anche i ligi trentini trasgredivano! Il fungone, anche se non l'avevamo preso, aveva portato allegria. Mi sembrava di essere ricca: di aria buona, di visioni bellissime, di pensieri, di un fungo che neanche potevo mangiare!

pieghe di Porfido

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incantamento davanti alle pieghe di Porfido
Una vacanza può essere breve, ma vissuta intensamente. Così mi capita da qualche anno, pochi giorni, ma assaporati istante per instante e con tutti i sensi. Anche con la mente: il Trentino è molto adatto a questo, perché vedi, senti, annusi e percepisci tante cose, e potresti lasciarle lì come impressioni, ma se poi vai al Centro dei visitatori di Paneveggio entri in un percorso ( odio questa parola, ma mi tocca usarla) che permette di approfondire e emoziona. Oppure vai al museo geologico di Predazzo: non ci siamo stati, ma già leggere un depliant è stato utile, la prossima volta ci andremo. E d'altra parte dalla memoria riaffiora una passeggiata di tanti anni fa in Val Badia: la cartina con il percorso diceva che si trattava di una zona di fossili. In un tempo lontanissimo, alla fine non importa quanti milioni di anni fa tutto questo sia avvenuto, per noi che viviamo un istante rispetto ai tempi geologici, in quel tempo lontanissimo lì dove ci trovavamo c'era stato il MARE. Ancora si trovavano conchiglie e resti di animali diventati pietra, diceva il foglio scritto. Le bambine erano curiose, e noi anche, e anche le altre persone che erano con noi, due famiglie genovesi incontrate in vacanza. Arrivammo in un posto ai piedi di una discesa morenica, tanti sassi grandi e piccoli, il solito panorama che leva il fiato delle cime sopra di noi fatte appunto di questa roccia chiara che al sole del tramonto diventa rosa. Dove saranno i fossili? Ci si domandò. Bisognerà sapere dove cercare... non importa trovarli, è bello anche solo sapere che qui in alto, dove ora è tutto arido e duro, una volta non era in alto, ma in basso e in profondità, e poi la terra ha sollevato tutto e ha cambiato la natura del luogo fino a farlo diventare asciutto e freddo, casa di piantine che restano piccole e ancorate al suolo, con la forma di cuscini (pulvini)... Mentre aprivamo gli zaini per tirar fuori i panini i bambini si sparpagliarono per la discesa morenica. Guardavano i sassolini uno a uno, come fanno i bambini... le mie figlie tornarono subito: "Mamma, ma questo non è un fossile? E' una conchiglia.." L'entusiasmo li fece scatenare. Mi misi anch'io a cercare a sedere in su. Ogni sasso era un pezzo di fondo marino, e quasi su ognuno si potevano vedere conchigline tipo telline, come su un bagnasciuga dell'Adriatico, solo che questo era di milioni di anni fa. Ogni tanto trovavano anche delle conchigline a chiocciola. Che bella lezione di paleogeologia a cielo aperto!




Le Dolomiti sono un immenso museo geologico. La Val di Fiemme ha montagne scure di roccia porfirica, il porfido dei marciapiedi!, che una volta, 260 milioni di anni fa, era il fondo di un vulcano, alzato e portato alla luce dalla Terra che si muove perché è viva.
Le cime delle Pale di San Martino invece sono di dolomia chiara e la differenza è molto evidente, si vede salendo il passo Rolle dove questi due tipi di rocce si incontrano. 
I minerali erano la mia passione, insieme alle conchiglie, fino da piccola. Il mio babbo ogni tanto arrivava a casa con un"sasso", li chiamava così, minimizzava, e portava una pietra rivestita di cristalli trasparenti, o di cristalli regolari e scuri, di pirite. Io li mettevo sullo scaffale dei tesori. Se si va a vedere bene gli interessi, le passioni, la capacità di godere delle cose vengono sempre da lontano... noi li riceviamo dalle mani di chi ci vuol bene e ci precede e li consegniamo nelle manine avide di sapere di chi ci segue. Abbiamo fatto queste foto per la nostra figlia più grande, che è geologa. Quando andai la prima volta in montagna al ritorno scrissi una "poesia", diceva così:

Rovina torrente,
puro e freddo, 
sceso bambino dal ghiacciaio,
ora, tuoni il tuo chiasso improvviso 
sui massi grigi.
Sulla tua acqua rotta
color del cielo
è raccolta la mia vita assetata
 bevo con tutta l'anima
a queste montagne, 
specchio di Dio.

Si capisce, andavo da Don Sergio... ma l'emozione è identica, solo che questa signora di ora non è più capace di esprimersi così



plasticità delle rocce

La quercia

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 Ho un'amica, la Luisa, di cui ho parlato qui e qui. E' più grande di me, ha più di settant'anni, è stata un'insegnante e una volta in pensione ha fatto dei corsi con gli psicologi Bermolen, che le hanno insegnato alcune tecniche pedagogiche di aiuto. Qualche anno fa ogni tanto andavo da lei e mi diceva: vediamo come ti vanno le cose.
Mi dava un foglio e mi proponeva di disegnare qualcosa. La prima volta mi chiese di disegnare un albero. "Come vuoi, velocemente, non importa la tecnica, è l'immediatezza che conta." 
Il mio albero, però, non stava tutto dentro il foglio. 
Lei lo guardò e scosse la testa. "Vedi che non lo fai entrare nel foglio? Non va bene! Forza, ricomincia e come esercizio devi riuscire a disegnarlo tutto nei limiti!"
La Luisa è molto simpatica, ma anche autoritaria, a volte, sempre a fin di bene. Le sono molto affezionata. Ricominciavo e succedeva sempre la stessa cosa, disegnavo le radici, cercando di ridurle, e il tronco, cercando di stringerlo, ma arrivata alla chioma era una vera sofferenza costringerla dentro le linee che delimitano il foglio. Disegnavo l'ultima foglia come ripiegata nel margine, ma sapevo che  moltissimi altri rami fogliosi  non li avevo disegnati, ma C'ERANO!, e stavano fuori. 
Questa faccenda è successa più volte, anche se io le dissi, già la seconda volta, che ormai sapevo cosa significava l'albero, e non sarei stata più spontanea!  
L'albero ero io, secondo la sua interpretazione. Non che ci siano altre chances, l'albero non può essere un'altra cosa. Non importa, diceva lei perentoria, anche se lo sai  funziona lo stesso!E funzionava davvero perché l'albero, il mio albero, cercava sempre di scappare dai confini. Tutto questo per la potenza dei simboli, a cui non ci si può sottrarre.

Mi sentivo in imbarazzo e leggermente in colpa per questo. E mi chiedevo perché. Ora ho capito. 

Qualche giorno fa Grazia, che ha il blog "Senza dedica" ha pubblicato questo post che riguarda un dipinto di un pittore francese, Gustave Courbet, raffigurante una quercia. "La quercia di Flagey".

La quercia, dice Grazia, occupa, con la sua chioma verde, tutto lo spazio della tela e i rami, pieni di foglie, sembrano talmente vitali da oltrepassare i bordi della cornice. 

Quest'osservazione mi ha fulminato.
C'è voluta la Grazia e il suo post per accendermi il cervello, ma è anche vero che le cose che ci toccano in profondità fatichiamo a capirle. 


Un cirmolo! Neanche questo sta nei limiti...

Il mio albero è molto forte e insofferente dei limiti. Nella vita infatti metto in piedi diverse cose contemporaneamente, intraprendo diversi progetti e li lascio tutti aperti, chiaro che poi realizzarli è difficile, ma pare che io funzioni così, se non ho molte cose in mezzo non sto bene, seguirne una  sola mi annoia, peggio: mi fa sentire in gabbia! Questa cosa irrita moltissimo mio marito, che è placido come un mare calmo. A lui vengono delle idee subitanee, a volte, grandiose ed esagerate, che sviluppa con la fantasia in modi complicati, ma poi le abbandona volentieri, riconoscendo che sono sogni, lontani dalla realtà. Gli da fastidio che io sia irrequieta e sempre piena di progetti. "Lo capisci che tutte queste cose non le puoi fare?" Mi grida certe volte."Almeno pensane una per volta!" E questa è una faccia della medaglia. 

D'altra parte l' esagramma  60 dell'I Ching è la DELIMITAZIONE.

Moderazione. E' necessario avere un comportamento rigoroso, limitarsi negli eccessi e nella  grandezza dei propositi poiché non ci si può espandere all'infinito. Occorre imparare a riconoscere i nostri limiti e non forzarli a tutti i costi, riuscire a stabilire quali siano i confini necessari per riuscire a vivere in maggiore armonia con noi stessi e col mondo, senza nemmeno eccedere nelle restrizioni.

Ho travato questa versione in un sito Internet. Ecco che la Luisa aveva ragione, si deve stare dentro i limiti del foglio, ma almeno, dopo le parole illuminanti della Grazia , ho le cose più chiare. Penso che si imparino cose su se stessi fino all'ultimo , prima di morire, se ancora si capisce qualcosa.

 

I cervi di Paneveggio

chiacchiere

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L'ultimo post di foto di Mauro, quello sui cervi del bosco di Paneveggio, ha avuto un gran successo, naturalmente considerando la media delle visite a questo blog. La cosa mi infastidisce un pò, che si vada a vedere delle foto piuttosto che leggere degli scritti, ma lo so che è normale! Più facile e immediato vedere che leggere. 
Come va? Dice Sari che ogni tanto si affaccia a controllare come sto.
Cara Sari, durante gli ultimi mesi ho toccato con mano cosa significa il verbo invecchiare. Sono caduta un paio di volte, una volta al lavoro e un'altra durante una passeggiata. Due scivolate simmetriche, una di qua una di là. Mi sono tenuta con le braccia e mi sono rialzata subito, ma poi, nel corso dei giorni, hanno cominciato a farmi male sia il collo che le braccia. La notte è un'avventura girarsi nel letto. Una vecchia. Aggiungiamoci altri due o tre disturbi cronici o quasi e il quadro è completo. Fermarsi non è utile, se ci si ferma ci si immobilizza. Tutta colpa delle scarpe. Comprai queste scarpe in un negozio qua vicino e andai al lavoro con le scarpe nuove. La Giusi notò le scarpe e mi chiese quanto le avevo pagate. 49 euro, mi pareva tanto, ma speravo che durassero più delle ultime, che le avevo pagate poco e dopo tre mesi erano aperte come pesci, con la suola scollata. La Giusi mi chiese se potevo domandare il prezzo delle New Balance della sua misura. E che sono le New Balance? Chiesi io. Il cameriere napoletano mi guardò come se fossi completamente matta. "Che so' le New Balance? Ma sei scema? So' le scarpe che hai appena comprato, che hai ai piedi!"


Che ne so io che si chiamano New Balance! Che me ne importa come si chiamano, l'importante è camminarci bene, che mi durino abbastanza e anche non scivolare...










Io, per me, sono dell'idea che non dovrei essere io a pagare per avere addosso nomi o sigle, ma gli altri a pagare me per portarmi sui vestiti o sulle scarpe il nome di qualcun altro. Ogni tanto, spesso, in pizzeria facciamo queste scenette da teatro, involontariamente comiche.
 Un altro collega di pizzeria relativamente nuovo ha visitato il blog e ha detto che di tutto parla meno che di fiori e giardini. Ahimé!
Eppure posso assicurare che il giardino quest'anno è proprio bello. 
Non ho potuto fare grossi lavori ma ho tenuto in ordine. Ora, con tutta l'acqua dell'estate, fioriscono i settembrini e gli anemoni del Giappone, i solanum e le salvie microphilla, e ancora le gaillardie...Per ora non posso fare che questo, mettere qualche foto di un giardino che sopravvive nonostante tutto.

Un torrentello nel bosco

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Cammino in giardino e guardo intorno. Non ho piantato annuali, quest'anno, per esempio mi mancano i colori e il profumo delle cosmee, che mi piacciono tanto. Però alcune piante, dopo 14 anni in questo posto, sono arrivate a maturità. E' una soddisfazione  che una creatura arrivi al suo culmine, mentre qualcun altro si perde, purtroppo. Alla fine di settembre il miscanthus zebrinus comprato dai ragazzi dell'Erbaio della Gorra dà il meglio di sé. I ciuffi di infiorescenze color bronzo hanno raggiunto i due metri. Il mio non è un giardino ordinato e preciso, ci provo, ma non riesco tanto. Il fatto è che mi piace che le piante crescano in forma libera, unendosi e mescolando i fiori, come succede ora fra una varietà di settembrini viola e i fiori di una salvia rossa. Rosso e viola è un accostamento choc che mi piace moltissimo. Poi però le masse dei settembrini sono tutte in viola e rosa sfumati. Anni fa venne un ragazzo a trovarci. Questo giardino mi piace, disse, anche la mia mamma ne fa uno così: selvaggio. Non sapevo se sentirmi lusingata o un pochino offesa, non mi pareva per niente selvaggio, ma piuttosto ben curato. Eppure la sua natura viene colta da chi viene e  questo ragazzo era un ingegnere abituato mentalmente all'ordine. Il giardino, con le piogge frequenti, è rimasto verde, e ho dovuto tagliare l'erba del similprato diverse volte. Finalmente si è ben sviluppato l'Helianthus Lemon Queen, che avevo comprato tanti anni fa da Didier Berruyer. Questa pianta ha un gran nome, ma non è che un cespuglio di girasoli perenni, o margherite gialle. Si potrebbe dire, come chi sostiene che non esistono più le mezze stagioni, che invece quest'anno sono mancate le stagioni intere, con l'inverno che è stato un lunghissimo autunno e l'estate che è stata una ancora più lunga primavera. Non ho annaffiato quasi mai, che significa tanto lavoro risparmiato. Ci sono state tante cose in questa estate. Le ragazze sono tornate a casa per un pò, prima l'una poi l'altra. Ora c'è la più grande che a giorni fa la laurea definitiva e non la vediamo mai, perché sta sempre all'Università. Un gran traguardo, per noi e per lei. La più piccola è stata qui a lungo e la sua presenza è stata un vero dono. Ora è andata a vivere col suo ragazzo lontano da qui. Mauro ha detto che prima di andarsene è venuta a prendere la forza per fare il salto a casa, dalla sua famiglia. Non so dire il calore e la gioia della sua presenza, solo se ci penso mi vengono le lacrime agli occhi. Le case e i giardini sono niente senza l'amore, eppure in qualche modo è la cosa più difficile e preziosa da coltivare. Un giorno siamo andati insieme in questo posto, nei boschi vicino a Monte Casale. Ci siamo andati noi tre, lei, io e il babbo che ha fatto le foto. 
qui sembra che qualcuno abbia spezzettato del materiale azzurro fra i sassi, ma è solo il riflesso del cielo sull'acqua









i cervi di Paneveggio

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Come una cerva anela ai corsi d'acqua
così la mia anima anela a te , o Dio











mosca olearia e medaglie al valore

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Oggi, per fare il punto, è il 5 novembre. E' passato un mese da quando ho pubblicato l'ultimo post ed è stato un tempo pieno di cose, alcune quotidiane, tipo far da mangiare, lavare piatti e casa, fare lavatrici, stirare panni, rifare lo stendipanni faidame, che avevo fatto anni fa recuperando i pezzi di uno stendipanni rotto.  Si erano rotti di nuovo i fili, ed è stata una soddisfazione averlo quasi nuovo, con il filo sostituito e tutto pulito! Una cosa importante di questo periodo è stata la laurea magistrale della mia figliola più grande, che è stata molto brava e si è guadagnata un 110. 
Altre cose che hanno riempito questo tempo sono cicliche, nel senso che una volta trascorso un periodo di tempo si ripetono, come RACCOGLIERE LE OLIVE. La raccolta delle olive dovrebbe essere un lavoro annuale, che si svolge in un periodo di tempo preciso fra l'inizio di novembre e i primi di gennaio. Dico che dovrebbe essere perché ci sono stati anni che non abbiamo avuto olive.
La lunghezza del periodo della raccolta dipende da alcuni fattori: quanti olivi avete, quante persone siete a lavorare, quant'è buono il tempo. Alcuni contadini anziani mi hanno detto che ai tempi loro si iniziava l'8 dicembre, per l'Immacolata. Noi, già trent'anni fa, abbiamo anticipato i tempi, perché abbiamo considerato la qualità dell'olio, che è migliore se le olive non sono completamente mature. Una volta si raccoglieva con i cestelli salendo sulle piante e si raccoglievano anche le olive cadute a terra. I cestai facevano apposta dei cestelli per quest'uso da mettersi a tracolla. Ora si usano dei grandi teli che si piazzano sotto le piante, la raccolta avviene a mano con l'ausilio di una specie di rastrellini o pettini che si passano sulle fronde, ma chi può si è dotato di una macchinetta, che somiglia ad un frullatore a immersione, che va a scuotere e far cadere le olive, almeno credo, perché non l'ho mai visto e ne ho sentito solo il rumore negli oliveti vicini al nostro. 
Nel podere che avevano i miei quando ero ragazzina, le olive raccolte si stendevano sui graticci sul pavimento di una stanza della casa e si aspettava di averne raccolte parecchie prima di portarle al mulino, potevano passare anche venti giorni. Era una pratica comune e nessuno ci faceva caso. Ora si raccoglie la quantità minima che il mulino accetta e si portano subito a macinare, cosa che anche questa migliora la qualità dell'olio. 

La raccolta delle olive è un lavoro che ci dice quanto è cambiato il clima. Penserete che sono una verde integralista, vado sempre a finire lì, ma ho ragione.

Quest'anno in particolare la lunga estate/non estate, piuttosto una primavera prolungata e umida, ha favorito il proliferare di un parassita, la mosca olearia, che qui non aveva mai trovato le condizioni ideali per svilupparsi. Ora ci sono.
Moltissimi qui hanno rinunciato a raccogliere le olive: certo che raccogliere, utilizzare tempo e fatica per avere un prodotto scadente è ... come dire?  Frustrante? In ogni modo fa girare parecchio le scatole. Ogni produttore di olio sostiene che il suo è il migliore di tutti, quest'anno non si sarebbe potuto dire e si è rinunciato a raccogliere. Ma c'è da chiedersi se l'olio che compreranno al supermercato sarà migliore di quello che avrebbero fatto.

La presenza della mosca olearia ha favorito l'espressione se non di una follia collettiva, almeno della mancanza di equilibrio. 
Ci sono racconti su blitz delle ASL nei frantoi per controllare le olive. O su editti che vietano la raccolta.
Magari è vero. A noi non è capitato. Un tipo mi ha detto che qualcuno ha fatto l'olio e l'ha buttato via dopo una settimana perché era andato a male. Bisogna essere stupidi per raccogliere dei frutti così sciupati che danno un olio talmente cattivo da buttarlo dopo una settimana. Queste storie sembrano piuttosto le esagerazioni che impazzano attualmente in televisione. 
Difficile sottrarsi al panico generale e non ascoltare le leggende metrocampagnole (invece che metropolitane).  

Dico cosa abbiamo fatto noi. Visto che le olive parevano maturare a vista d'occhio e cadevano, accertata la presenza della mosca che si vede bene, abbiamo raccolto molto velocemente le olive sane e verdi e altrettanto velocemente le abbiamo portate a macinare. Eravamo in due a lavorare, con l'aiuto saltuario della nostra figlia neo laureata. Per due settimane non abbiamo fatto che occuparci di olive, domenica compresa, fino al tramonto. Io la sera, non contenta, andavo anche a lavorare, il lavoro per la pagnotta. Avrei voluto fare delle foto per vedere quanto erano belli gli olivi carichi, ma non ce ne è stato il tempo. Una ventina di olivi, dove i frutti erano troppo maturi e sciupati, non li abbiamo raccolti. L'olio è risultato davvero buono e non diverso dal solito. Il tempo ci ha aiutato, salvo una giornata che abbiamo raccolto con la giacca a vento, tutte le altre il clima è stato perfino caldo, quasi estivo. E' finita che il primo novembre, per i Santi, quando gli altri anni non avevamo ancora cominciato, quest'anno avevamo concluso tutto il lavoro dell'olio.

Ma tutta questa storia mi ha lasciato uno strano sapore in bocca, che non dipende dall'olio, che come ho detto è ottimo, e chi vuol assaggiare venga a trovarmi.  E' lo strano gusto del cambiamento in atto, del timore del futuro, del non sapere che accadrà, non dico l'anno prossimo, ma domani, o fra due ore...ora piove e diluvia, e nella zona di Carrara sono di nuovo nei guai...E' la sensazione che la terra madre sia diventata matrigna, e che non sappia più darti il buon cibo che ti serve. 
Ma tanto, sembrano dire le persone con cui parlo, c'è il supermercato, c'è tutto l'olio che si vuole, e costa poco! E' noto che nei supermercati, nel retro, dove non si vede, c'è la fabbrica dell'olio, della frutta e anche della carne.

Certo, l'ho già detto altre volte, fare l'olio qui in Toscana, o in Liguria, è da matti, bisogna essere matti, malati per farlo. E anche eroi, certo, perché noi, senza fare convegni o chiacchiere, manteniamo un paesaggio e una cultura viva. Alla fine siamo troppo stanchi per partecipare anche ai convegni. Che li facciano i politici, i convegni. 
E siccome nessuno ci dice bravi oggi me lo dico da me, brava, e lo dico al mio compagno di vita, ritaglio due medaglie al valore di carta e ce le appuntiamo sul petto, alla faccia degli accordi  mai fatti sul cambiamento climatico. Abbraccio tutti i nostri olivi e dico loro che sono stati tanto bravi, che sembravano alberi di Natale, carichi di bellissimi frutti, gliel'ho detto per davvero, uno per uno, mentre li coglievo, ringraziandoli delle olive prodotte nonostante tutto, nonostante la grandine che li ha feriti e nonostante la rogna che si è insediata sulle ferite da grandine, e le cocciniglie di ogni tipo che ho trovato sulle foglie meno esposte alla luce. 

Phormium tenax o "della tenacia"

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Torno ad posare qui un pò dei miei pensieri. Ultimamente sono successe talmente tante cose, nella mia vita piccola come un guscio di noce, che anche i pensieri sono stati veloci, superficiali, dedicati alle cose pratiche, ma è chiaro che intanto se ne formano altri, che emergono dalle emozioni, e che restano a lungo come un magma impuro e ribollente, impossibile da esprimere con correttezza e chiarezza.  Ogni tanto vengo al computer, scorro i blog amici e mio marito mi dice "Scrivi!" perché sa che in qualche modo scrivere mi fa bene, ma poi, come ora, mi interpella per il recipiente da usare per portare l'olio alla suocera....E' un sistema sicuro per farti sentire che quello che stai facendo, anche niente, o solo pensare, è inutile e quel che è inutile è dannoso... mi rialzo dalla sedia e riparto nelle occupazioni casalinghe, che qui abbondano sempre, non so come mai. 

Il mio giardino è diventato adulto e mi da pochi pensieri. Richiede il mio lavoro e se gliene potessi dare assorbirebbe tanto del mio tempo, ma sopravvive e resta bello anche con meno cure. E' come un figlio grande, o un caro amico, che può aspettare che ti dedichi a lui quando puoi, perché ormai fa molto da solo. E' diventata bella, mio malgrado, anche la parte d'ingresso, che ho sempre curato poco. Me lo dicono i passanti, o i vicini, e io dico "Se venite di sotto, nelle parti che non si vedono dalla strada, lì sì che è bello..,"
Ora all'ingresso c'è un semicerchio di pennisetum spettacolare e alcuni arbusti che stanno crescendo e sostituiscono il bambù. Coglievamo gli olivi e l'oliveto è ordinato, ma anche molto selvaggio, dappertutto le tracce degli animali selvatici, orme di cinghiali che, se fossero uomini, avrebbero il 46 di piede. Orme di caprioli, un pò diverse, e tante piante spontanee. In alcuni punti ora fiammeggiano gli evonimi, o fusaggine, o cappello del prete, con le bacche arancio/rosa, che, oltre agli olivi carichi, sono uno degli  spettacoli del periodo. 
Il canto di tanti uccellini ci ha accompagnato nel lavoro. Per pranzo si risaliva verso casa e l'ingresso in giardino dal cancello dei campi mi faceva sempre l'effetto (già descritto) di ritorno alla civiltà: erba tagliata, cespugli in forma, pergole, vasca dei pesci e delle rane...mi sento  a casa, la casa dell'anima, in un luogo non troppo curato, ma pieno di armonia. 
Alcune piante sono diventate molto grandi e belle. I due ceanothus, per esempio, di cui parlo sempre. Il miscanthus zebrinus. 
Ma anche il Phormium. 
Phormium tenax, pianta tenace, lo dice il nome, chiamato anche "lino della Nuova Zelanda", evidentemente usato come fibra tessile... Il Phormium è una pianta che il paesaggista John Brookes definisce "architettonica". E lo è. Comprai il Phormium alcuni anni fa ed era una pianta piccolina che è rimasta tale per almeno due anni.  Stavo arrivando alla conclusione che non era adatta a questo posto: le piante adatte si selezionano da sole. Le cambiai posto per farle godere un pò più di ombra. Il lungo periodo piovoso recente, durato ben più di un anno, l'ha fatta prosperare. 
Ora sembra che dica: che ti importa se qualcun altro è morto? Ci sono io che sto bene e sono bellissimo, guarda me!
E' un monumento vegetale in giardino, un ciuffone di foglie a spada verdi bordate di bianco, meraviglioso. Chissà se prossimamente fiorirà? Sono tanto curiosa dei suoi strani fiori. Credo che dovrò dividerlo e piazzarne una parte...dove? 

Il giardino straripa di piante. Bisogna allargarsi. Mio marito dice che mi devo contenere, sto invecchiando, non devo aggiungere lavoro. Anche la mia mamma, tantissimi anni fa, guardando scoraggiata i miei vasi pieni di piante, diceva che dovevo limitarmi e contenermi, ottenendo quasi sempre l'effetto contrario. Ma io, quando sto bene, immagino molto e invado nuovi spazi. I miei traffici in giardino sono un segno preciso del recupero della voglia di vivere e del buonumore. Poi magari me ne pento, perché le energie sono quelle che sono...ma cerco anche nuovi modi, più semplici, di manutenzione di tutta la faccenda. 
"La vita è sogno, soltanto un sogno, il sogno di un sogno..." si dice a un certo punto del film di Peter Weir "Picnic a Hanging Rock". Sì, sogniamo fino alla fine e fino alla fine immaginiamo di allargare il nostro "giardino", qualunque cosa esso sia.

Davanti alla porta nei tanti vasi che riempio continuamente le piante dell'estate sono ancora floride, forse al meglio della stagione: di solito a maggio compro un vasetto di incenso, che poi è una varietà molto odorosa di plectranthus, lo spezzetto e lo infilo qua e là nei vasi. Mette subito radici e in questa stagione ha ormai formato cuscini grandi e ricadenti di foglie bianche e verdi. Faccio lo stesso con due o tre piantine di coleus, dalle foglie molto colorate. Questa primavera ne ho trovato un tipo con le foglie color cioccolato, da associare a quelle dell'incenso, e ad una vecchia verbena rosa che è con me da anni . Queste composizioni sono ancora quasi perfette, salvo la pioggia esagerata di questi giorni e le lumache. E' anche il momento della fioritura della salvia elegans, col suo rosso bellissimo. E fra poco il Natale sarà annunciato dalle bacche della Nandina e da quelle del cotoneaster...

INTERSTELLAR

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Nel mio giorno libero siamo andati a vedere Interstellar , il film di Christopher Nolan. A me, come sa chi frequenta Iris e libellule, piace la fantascienza. Soprattutto questa. Tutto avviene in un futuro prossimo in cui la Terra sta diventando non più abitabile a causa di terribili tempeste di sabbia  e di una malattia delle piante che distrugge i raccolti e viene chiamata la Piaga. In una fattoria di uno degli stati agricoli degli USA vive una piccola famiglia composta dal nonno, il babbo e due ragazzini, maschio e femmina. Il babbo è un ingegnere che alcuni anni prima era un pilota, e si è dovuto convertire all'agricoltura, perché la prima necessità è tornata ad essere il cibo. Tutte le capacità e tutta la creatività umana vengono concentrate sulle ricerche biologiche in campo agricolo per garantire cibo sufficiente, e le altre scienze vengono via via abbandonate e screditate, tanto è vero che l'opinione comune è che non siamo mai stati sulla Luna, con tutto il seguito delle teorie cosiddette complottiste. Il genere umano si sta richiudendo in se stesso e sta abbandonando la speranza nel tentativo di affrontare difficoltà troppo grandi per poter essere risolte. 

La bambina, che si chiama Murphy, detta Murph, ha un fantasma in camera, o almeno così dice. Cadono libri dagli scaffali, o si formano per terra, sulla polvere che si deposita durante le tempeste di sabbia, dei disegni regolari. Il babbo, che vuole tranquillizzarla, capisce che si tratta di messaggi scritti in codice binario, e precisamente coordinate di un luogo raggiungibile in auto. Così padre e figlia, che si è nascosta in macchina, arrivano in piena notte in un luogo isolato davanti a un cancello  e, mentre tentano di entrare, questo si apre, si accendono delle luci forti e gli viene intimato di entrare. 
Questo l'inizio di Interstellar. 

Di là dal cancello c'è la Nasa, che è diventata un'attività segreta del governo, perché ormai spendere denaro e risorse in attività di esplorazione dello spazio sembra inutile e superfluo, in una società dominata dai bisogni primari. Ma è un bisogno primario anche quello di trovare per l'uomo un'altra casa, un altro pianeta e qualcuno sta aiutando gli uomini, qualcuno che non si sa chi sia, che si manifesta con dei segnali e con l'apertura, nei pressi di Saturno, del  passaggio verso un'altra galassia: uno  "wormhole".
Ecco cosa dice Wikipedia:


Ponte di Einstein-Rosen

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Rappresentazione bidimensionale di un wormhole
Un ponte di Einstein-Rosen o cunicolo spazio-temporale, detto anche wormhole(in italiano letteralmente "buco di verme", ma tradotto in modo poco attinente col termine galleria di tarlo o cunicolo di tarlo), è una ipotetica caratteristica topologica dello spaziotempo che è essenzialmente una "scorciatoia" da un punto dell'universo a un altro, che permetterebbe di viaggiare tra di essi più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la distanza attraverso lo spazio normale.
Il wormhole viene spesso detto galleria gravitazionale, mettendo in rilievo ladimensione gravitazionale strettamente interconnessa alle altre quattro dimensioni: spazio e tempo. Questa singolarità gravitazionale, e/o dello spazio-tempo che dir si voglia, possiede almeno due estremità, connesse ad un'unica galleria o cunicolo, potendo la materia viaggiare da un estremo all'altro passandovi attraverso.

Cooper è giunto esattamente dove doveva arrivare, e trova a capo della Nasa un suo vecchio insegnante, il professor Brand, e sua figlia Amelia. Il professore è convinto che se lui, esperto pilota, è giunto fino a loro guidato solo da segnali che sembrano paranormali vuol dire una cosa: che deve partire in ricognizione di tre spedizioni inviate anni prima e atterrate in tre pianeti in cui la vita umana sembra possibile. Per scrivere Interstellar Nolan ha scelto come consulente un fisico e il suo film ci offre uno sguardo sulla realtà alla luce della teoria della Relatività. Ci fa vedere come potrebbe presentarsi uno wormhole e  un buco nero.  Cooper parte sapendo che se e quando tornerà troverà i suoi figli adulti, e si sarà perso gran parte delle loro vite. Suoi compagni sono la dottoressa Brand e altri due scienziati, oltre a due robot che vengono rappresentati come grosse scatole scomponibili, simile ai monoliti di 2001 odissea nello spazio, dotati di senso dell'umorismo. Il viaggio fino all'orbita di Saturno dura due anni, trascorsi in gran parte dormendo, poi il passaggio attraverso lo wormhole li conduce nell'altra galassia, in prossimità di un buco nero, che è stato chiamato Gargantua, per la sua caratteristica di attrarre e divorare tutta la materia presente nelle vicinanze; in questo luogo anche il tempo, come se fosse un oggetto materiale e in particolare un tessuto elastico, viene stirato e si allunga. Poche ore trascorse in un pianeta prossimo al buco nero significano sulla terra e sull'astronave che li attende in orbita, ventitre anni. Al ritorno dalla breve missione sul pianeta, in cui per lui e i suoi compagni sono trascorse poche ore, Cooper, sulla piccola astronave, vede i messaggi del figlio, arrivati attraverso la stessa strada percorsa da loro. Attraverso questi vede il  figlio che cresce, che diventa padre, mentre sulla terra le condizioni di vita continuano a peggiorare, e  infine il primo dei suoi bambini muore.  Gli ultimi messaggi sono di Murph, che annuncia la morte del professor Brand e rimprovera al padre di averli lasciati soli a soffocare e morire di fame. Murph, adulta , ha lavorato col professor Brand alla soluzione di certe equazioni che dovevano permettere agli uomini di lasciare la terra a bordo di una grande astronave, vincendo la gravità, ma il professore, prima di morire , le ha rivelato che l'equazione è risolta da anni, ma è inutilizzabile perché non si accorda con altre parti della teoria. Sarebbero necessarie altre informazioni, reperibili solo nelle vicinanze di un buco nero. Quindi lasciare la terra è impossibile e l'umanità è condannata. 

Il primo pianeta visitato, intanto, è risultato inadatto alla vita umana, coperto dall'acqua per intero, con grandi maree, e lì è rimasto ucciso uno dei membri dell'equipaggio. La navicella spaziale ha ormai quasi esaurito il carburante e il tempo a disposizione, e si deve scegliere su quale pianeta, fra i due restanti , atterrare. Amelia vorrebbe raggiungere uno scienziato che ama, senza la sicurezza di trovarlo vivo, ma Cooper, per motivi concreti, sceglie l'altro pianeta. Alla fine anche questa scelta si rivela disastrosa e Cooper e Amelia, rimasti gli unici membri della spedizione, ripartono verso l'ultima possibilità rimasta. Per far questo risparmiando carburante devono usare il campo gravitazionale del buco nero come una fionda e qui Cooper si sgancia dalla navicella per permettere ad Amelia di avere più chances di raggiungere il pianeta dove potrà depositare una specie di banca di embrioni che potranno far rinascere la razza umana. Ma, invece di essere ucciso dal campo gravitazionale,  Cooper viene trascinato insieme al robot in una specie di lungo tunnel alla fine del quale c'è un "non luogo", che viene chiamato "tesseratto", uno spazio al di fuori dello spazio limitato da corde vibranti, che somiglia, nella rappresentazione visiva, ad un quadro di Escher. Guardando attraverso le "corde" ( chissà se sono riferite alla teorie delle stringhe?)  Cooper vede che dovunque si affacci c'è, al di là, la cameretta di sua figlia bambina, in tempi diversi. La vede entrare e uscire e prova ad attirare la sua attenzione: così fa cadere i libri dagli scaffali. Comincia a capire che i fenomeni che aveva visto nella camera di Murph era lui stesso a produrli, da quel luogo fuori dal tempo. Tenta in ogni modo di comunicare con lei, perché lei è di nuovo lì, adulta, disperata, tornata nell'unico posto in cui le pare di poter trovare una soluzione o almeno un'ispirazione per risolvere le sue equazioni e salvare il genere umano. C'è un orologio sullo scaffale, che il padre le aveva dato prima di partire, per calcolare il tempo fino al suo ritorno. L'orologio è fermo da tempo, ma il padre, da quel posto fuori dallo spazio conosciuto e dal tempo, riesce a far funzionare la lancetta dei secondi e a trasmettere a sua figlia le informazioni vitali che il robot ha raccolto in prossimità del buco nero. La donna capisce e finalmente raccoglie i dati e riparte per elaborarli.  Cooper chiede a se stesso e al robot "Ha capito? Funzionerà?""Funzionerà-dice il robot-  perché stanno smontando il tesseratto." Gli esseri che hanno creato il tesseratto sono gli uomini del futuro, che hanno imparato a vivere e lavorare oltre le quattro dimensioni. Cooper viene espulso nello spazio nell'orbita di Saturno e lì viene raccolto. Si ritrova in un letto di ospedale e chiede all'infermiere cos'è questo posto. "Stazione spaziale Cooper, nell'orbita di Saturno, signore." Cooper si alza e guarda fuori dalla finestra: il panorama è costituito da un mondo artificiale, una specie di cilindro in cui la zona fruibile è la parete interna, curva, coltivata e abitata.  Cooper dice qualcosa tipo : sono lusingato che mi abbiate dedicato questa stazione, ma non dovevate..
"Ah, ma la stazione, la correggo signore, non è intitolata a lei, ma alla Signora, la dottoressa Murphy Cooper." La voce è piena di rispetto, la dottoressa Cooper ha letteralmente salvato il genere umano. Poco dopo Cooper viene chiamato per incontrare sua figlia: è vicina alla morte e si è sottoposta al lungo sonno degli astronauti nella speranza di incontrare il padre prima di morire, sicura del suo ritorno. L'incontro fra i due, lui un uomo ancora giovane e prestante e lei ormai molto vecchia, è un paradosso e un momento molto commovente. La figlia lo invita a ripartire per soccorrere la dottoressa Brand, che è atterrata sul terzo pianeta, la nuova casa degli uomini. Murphy non resta sola: intorno a lei c'è la sua numerosa famiglia, che suo padre ha contribuito a salvare.

Interstellar sembra un racconto di fantascienza, ma è anche un'epopea mitica sui valori fondamentali della vita, un pò la storia di Ulisse e  un pò quella di Orfeo, della famiglia umana e della sopravvivenza della specie.  Nel cinema, nonostante la lunghezza del film, c'è stato per tutta la durata silenzio completo, eravamo incollati alle sedie e ogni tanto qualcuno esclamava sottovoce, nei momenti più intensi e pericolosi. Un ragazzo accanto a me a un certo punto, quando la piccola astronave Endurance viene in parte distrutta, ha detto: "Porca miseria , e ora come cacchio fanno?" Mi ha fatto sorridere. Sono troppo stanca per dirvi ancora qualcosa. Se vi capita vedetelo, un film ambizioso, americano anomalo, dove la gente esibisce la propria faccia senza troppi abbellimenti,  la Murphy anziana è davvero vecchia e molto rugosa, e le astronavi sono piccole e fragili. Dice ad un certo punto il dottor Romilly durante il viaggio: "Sono terrorizzato all'idea che fra noi e lo spazio profondo (cioè la fine della nostra vita) ci siano solo pochi millimetri di alluminio"
Noi potremmo dire: "Sono terrorizzato all'idea che fra noi e la fine della vita (Freddo fino allo zero assoluto, niente da respirare) ci sia solo un sottile strato di gas chiamato atmosfera e stiamo facendo di tutto per distruggerla"











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