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Channel: Iris e Libellule
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Pettirosso

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Un pomeriggio ho sentito un rumore come un martello che batte ripetutamente su qualcosa, e ho pensato"Ma che fa il nostro vicino di casa?" Quando mi sono avvicinata alla finestra per aprirla e sentire meglio ho capito che non era un martello, ma un pettirosso che batteva col becco sul vetro per entrare. E' stato lì un paio di giorni, posato sul bambù, come si vede, o sulla grondaia... ora non lo vediamo più. Spero solo che non l'abbiano preso i gatti. Orazio, uno dei micioni neri, si era piazzato sul tetto della capannina di legno per fargli la posta...
Questo dicembre veramente anomalo è iniziato, come dicevo a Loretta, con il callistemon fiorito e il gelsomino che pensa che sia primavera e fiorisce di giallo anche lui, il cielo grigio e piovoso come a novembre e le temperature da settembre. L'altra notte uscita dal lavoro il termometro della macchina segnava 17°. Ero con le mezze maniche e non sentivo freddo. 
Dov'è quel freddo frizzantino tipico del mese? In compenso tutti i miei vasi sono ancora all'aperto e anche le piante più freddolose sono in buona salute, pioggia permettendo. Avrei certe storie da raccontare...ma per ora non posso. 

Se volete vedere il miracolo

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Se volete vedere il miracolo
tenete la scatola chiusa
Lasciate gli animali nella loro natura
togliete il recinto al regno di Dio
giù fino al nastro rosso
e poi… seguite il fiume
fino al ramo nell’acqua
fino al ceppo bruciato, più avanti
più avanti… fino all’ultima siepe di rovo
Usciremo da questa storia
credetemi

Ho sentito questa poesia a Fahrenheit
E' di Ida Travi e qualunque cosa significhi per lei, oggi, significa molto per me.

le persone perbene

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Sono sempre dell'idea che le persone perbene sia di più di quelle per male, che il mondo vada avanti grazie a loro e alla loro vita umile che non sta sotto le luci forti ed è quasi invisibile... ma anche quella dei delinquenti è invisibile! La vedi solo quando viene scoperta dalla magistratura con un lavoro di dieci anni! Ci son voluti dieci anni per poter chiudere il cerchio intorno a questa variegata cosca mafiosa romana che apparteneva in gran parte alla destra, ma anche alla sinistra parlamentare. Standard and poors ci declassa: vorrei vedere, se non fossi italiana forse qui non ci vorrei venire neanche come turista. Di grazia che ancora qualcuno ci viene, superando la paura di essere derubato, truffato o ammazzato. Dovremmo dire ai ragazzi che c'è stato un tempo, alcuni anni fa, in cui le manifatture italiane erano le migliori nel mondo e i nostri prodotti andavano a ruba sui mercati, nonostante la mafia esistesse anche allora e ci fossero tanti problemi aperti, ma allora che i soldi c'erano o sembrava che ci fossero, invece che approfittarne per darsi regole e consolidare quella ricchezza portandola a vantaggio di tutti, si saccheggiò a piene mani e si disse che era normale il clientelismo, la ruberia, l'immoralità. Poi ci fu il ventennio di Berlusconi e le sue televisioni e il suo governo finirono di rovinare il buono che c'era. Si vede ora che i suoi amici sono stati il flagello peggiore che ci potesse capitare, sono ancora  a capo delle organizzazioni mafiose e neanche si vergognano. 
Le persone perbene fanno fatica a tenere la barra della propria vita. Le percezioni negative sono tante:

 ci si sente dei fessi: a lavorare nel rispetto delle regole non si guadagna, si vive,  e il possesso del denaro è l'indice del successo, in questo mondo qui.

 fessi due volte: ogni volta che si tenta di fare qualcosa, che sia un'impresa, che sia un lavoro in casa propria, ci si invischia in un mare di regole e leggi fatte per mandare al manicomio la gente e quasi sempre in contraddizione fra di loro che rendono le cose al limite dell'impossibile. naturalmente queste valgono per la gente perbene, perché gli altri le ignorano.

 di solito la famiglia è un rifugio, ma succede che i giovani non trovano lavoro, non possono rendersi indipendenti, tutti attingono agli stipendi, o alla pensione di chi ce l'ha, se ce l'ha, e iniziano liti e contese per l'uso dell'energia denaro, che scarseggia.

 poi ci sono questi episodi dei bambini uccisi, vedi il piccolo Loris, che tolgono le parole e la fiducia, proprio quella di base, che ti fa guardare l'altro come simile e invece pensi che dietro la maschera ognuno può uccidere...

D'altra parte le dichiarazioni di fiducia di Renzi sembrano inconsistenti, più si procede e più appare il marcio nascosto dietro quasi tutte le attività umane, dovunque ci sia stato un pò di denaro ci sono stati scarafaggi a rodere, sottraendo quello ad altri era necessario per sopravvivere. Non so voi, ma io vacillo ..e sì, mi sento sollevata se, anche solo una poesia, mi dice di crederci, che usciremo da questa storia.

Attenzione!

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 Devo chiedere scusa per il mio post precedente.A volte esplodo in  un inutile scontento, un'incapacità di sopportare oltre... inutile, per l'appunto, perché non serve a niente. L'unica cosa che serve, per ora, è tenere la posizione, avanzare, anche a testa bassa, come ha detto Loretta nel suo commento, in attesa di riuscire a rialzarla. 
Ma dire che non sono d'accordo, forse?, serve a qualcosa, che si sappia, anche da questo blog-finestrina-sul-mondo, che non mi piace quello che accade e non mi lascia indifferente. Più interessanti sarebbero le riflessioni che si possono fare, ad avere tempo. Io non ho molto tempo in questa fase. Sembra che ne abbia molto e che stia molto sola. Sola ci sto, col cane e i gatti, ma lavoro anche in casa e i pensieri che salgono a galla avrebbero bisogno, per formarsi bene, di una lunga passeggiata, di lavoro all'aperto.. di Tempo. Tempo vuoto e pieno di Pace per pensare. 
Ho sentito che c'è una proposta per modificare l'orario scolastico in "ore" di dieci minuti. Mozziconi di ora di dieci minuti. Pare che i ragazzi non siano capaci di fissare la propria attenzione per più di dieci minuti. Dieci minuti è il tempo massimo poi si perdono. Anche io dovrei funzionare così, se è un problema di funzionamento del cervello. Eppure sabato scorso ho seguito una lezione per tre ore, di pomeriggio prima di entrare al lavoro, e sono stata concentrata tutto il tempo. Certo: ho avuto i miei momentanei smarrimenti, ma poi sono tornata al centro.
Perché ho sessant'anni? Non so. Perché ho fame di sapere cose nuove e sono consapevole di quanto sono preziose? Forse.

L'Attenzione è un bell'argomento. In dieci minuti non arrivi mai al centro del discorso, a meno che non si tratti di una cosa molto semplice. E la realtà non è mai semplice, anzi è complessa, ha tante sfaccettature e tanti piani. Mi torna in mente Interstellar. Il nostro pensiero sfugge spesso alle dimensioni che conosciamo e coglie la complessità di una realtà che va oltre. Il nostro pensiero sta nella multidimensionalità del tesseratto.
Se non avesse funzionato così non avremmo avuto i grandi filosofi, gli artisti e tutto il sapere che abbiamo alle spalle e che spesso ci precede e corre avanti sulla linea temporale, con scoperte e soluzioni che ci cambiano la vita. Forse è proprio il nostro pensiero a suggerire l'idea dell'immortalità. o almeno della prosecuzione di qualcosa di noi dopo la morte, oltre la morte.

Quindi lasciate perdere le ore di dieci minuti. Chiediamoci piuttosto perché sembra che i ragazzi non riescano (più) a fissare la propria attenzione per un tempo maggiore. Io non lo so. 

Vedo molte famiglie con bambini, nel posto dove lavoro. La gente si siede, i bambini si sparpagliano in giro, fanno confusione, esplorano il magazzino, si siedono sul freezer, come se fosse normale, nessuno li richiama, se non debolmente, senza autorità. I genitori si siedono e qualche volta neanche parlano fra di sé, che sono venuti a cena insieme, con la famiglia o addirittura più di una famiglia, vorrà dire qualcosa? Si presume che la gente vada a cena insieme perché interessata agli altri con cui esce. Invece no. Spippolano il telefonino. Gli adulti spippolano, interessati non a chi hanno davanti, ma a qualcuno lontano, che non è presente.  O forse a Facebook. Verrebbe da suggerire: esci con quello con cui parli. Ma sospetto che se quello fosse lì telefonerebbero a qualcun altro. 
Attenzione! Verrebbe da dire. Attenzione! E' la vostra vita, i vostri bambini! Guardate, vigilate, parlate con loro, state attenti! L'attenzione è il primo passo per capire che succede. 
E che succede? 
Succedono tante cose nelle teste dei vostri bambini, molte di più di quante appaiono all'esterno. Attenzione!

Ora, da questo spazio di pochi metri quadrati dove trascorro sette ore della mia giornata (se ci penso mi viene l'angoscia) vedo un nuovo fenomeno. Ragazzi con grandi barbe, barbe da rabbino. 
Ho chiesto a mia figlia e lei mi ha detto che c'è un nome per questa cosa, che loro stessi, i barbuti, si danno un nome, ma non me lo ricordo. Il fatto è che sembrano giovani saggi rabbini, o anche maestri arabi, per non fare differenze. Pensatori, comunque. Che sia il segno di un'inversione di tendenza? Una nuova moda o il ritorno all'Attenzione?

Comunque, dopotutto, a casa mia è Natale. Sopra il camino c'è la ghirlanda decorata, c'è un presepe improbabile con troppi San Giuseppe , alcuni fatti passare per pastori, e in giardino la lonicera e il calicanto sono fioriti. 


Nota del testo: i "barbuti" si chiamano hipster.

le piccole virtù

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Giornate di lavoro intenso prenatalizio, per cui mi riconosco il diritto di stare un pochino seduta a pensare e scrivere. Abbiamo avuto serate molto "toniche" al lavoro e sono tornata a casa quasi alle due di notte. "Ci vuole un fisico bestiale.." canticchia la Giusi entrando in cucina carica di piatti. Avete voglia di seguirmi in un discorso senza capo né coda, fra ricordi e riflessioni, senza una morale e con un vago filo conduttore? Se sì,  è a vostro rischio e pericolo, ricordate!

Pensavo alle piccole virtù. "Le piccole virtù "è il titolo di una raccolta di racconti di Natalia Ginzburg, che è una delle mie scrittrici preferite. Il racconto che da il titolo al libro parla delle virtù minori, le piccole virtù borghesi che si insegnavano ai bambini. Non insegnate le piccole virtù borghesi ai bambini, insegnate le grandi virtù, dice Natalia. Come genitori diamo per scontate le virtù maggiori, pensiamo che i nostri figli le abbiano già in sé e che prima o poi si manifesteranno, le virtù piccole, invece, che non sono un impulso del cuore, ma frutto di una riflessione maturata nella vita, benché certe volte sembrino meschine, ci pare il caso di insegnarle, di inculcarle nelle giovani teste ignare dei nostri bambini.
 Il risparmio, per esempio, è una delle piccole virtù. Risparmiare un soldino sopra l'altro, metterli da parte. Quest'immagine, della bambina che mette il soldino nella fessura del salvadanaio, spalanca la porta a certi ricordi. 

Una  classe della scuola elementare, primi anni sessanta, i bambini, i maschi col grembiule nero e le femmine col grembiule bianco, si alzano ordinatamente tutti in piedi per accogliere qualcuno che è venuto a far visita, un funzionario della Banca Popolare Aretina che consegnerà ad ognuno un salvadanaio di metallo colorato, con uno sportellino e una piccola chiave per aprirlo, ma la chiave la tiene la Banca, e se si vuol ritirare i risparmi bisogna andare in Banca per farlo aprire, e forse allora saremo consigliati a depositarli in un librettino di risparmio...è tutto vero o la mia memoria si è inventata qualcosa? 

La Banca era un'importante istituzione in città, doveva avere avuto un ruolo vitale nella ricostruzione del dopoguerra. Raccoglieva il denaro di chi ne aveva molto  e lo metteva a disposizione di chi non ne aveva ma  ne aveva bisogno, o  aveva iniziativa per creare nuove attività. In questo senso il lavoro della Banca è utile e benefico, in una sana società umana. Il babbo aveva un caro amico che lavorava in Banca, un funzionario di alto livello che aveva un suo ufficio riservato non nei pressi della grande sala affrescata sempre affollata, ma in uno dei lunghi corridoi silenziosi del retro. Certe mattine andavamo a trovarlo, io e la mamma. Io avevo un bel cappottino e un cappellino di feltro col nastrino, la mamma aveva anche lei un bel cappotto, scarpe col tacco e i guanti di filo, e l'usciere sorridente ci accompagnava fino alla porta chiusa. Dentro la stanza arredata con bei mobili sobri e ricchi, lo zio ( io lo chiamavo così, era il mio padrino di battesimo) ci accoglieva affettuoso. La banca e la sua sede, la sala affrescata, i corridoi silenziosi, i miei soldini custoditi, erano un tutt'uno che faceva parte della mia vita di bambina.

Era tempo di pace e ci insegnavano di nuovo le piccole virtù: il risparmio, la prudenza, l'astuzia, la diplomazia, il desiderio del successo. Natalia Ginzburg le elenca e le contrappone a:
la generosità e l'indifferenza al denaro
il coraggio e lo sprezzo del pericolo
la schiettezza e l'amore per la verità
l'amore per il prossimo e l'abnegazione
il desiderio di essere e sapere

Le grandi virtù erano state spese, da alcuni, durante la guerra, ora non servivano più così tanto. In questo nuovo tempo di pace bisognava affinare altre armi e tornare, chi era capace, ad essere astuto, prudente e diplomatico, per avere successo. 
Lo zio del babbo a cui i fascisti avevano bruciato l'edicola, che si era battuto per la Libertà durante la Resistenza, ora era un qualunque omino indaffarato nella sua libreria. Il coraggio e la generosità non gli erano più tanto necessari, gli ci voleva pazienza, oculatezza, perfino una buona dose di diffidenza, per campare.

Il Denaro tornava ad essere il protagonista delle vite, e, sul denaro, ecco che dice Natalia Ginzburg


...abituando i ragazzi a considerare il denaro familiare come una cosa che appartiene a noi e a loro in egual misura, e non a noi piuttosto che a loro, o il contrario, potremo anche invitarli ad essere sobri, a stare attenti al denaro che spendono: e in questo modo l'invito al risparmio non è più rispetto per una piccola virtù, non è astratto invito a portare rispetto ad una cosa che non merita rispetto in se stessa, come il denaro; ma è un ricordare ai ragazzi che non è molto il denaro in casa, è un invito a sentirsi adulti e responsabili di fronte ad una cosa che appartiene a noi come a loro, una cosa non specialmente bella né amabile, ma seria, perché legata alle nostre necessità quotidiane. Ma non troppo presto né troppo tardi: il segreto dell'educazione sta nell'indovinare i tempi. Essere sobri con se stessi e generosi con gli altri: questo vuol dire avere un rapporto giusto col denaro, essere liberi di fronte al denaro: e non c'è dubbio che, nelle famiglie dove il denaro viene guadagnato e prontamente speso, dove scorre come limpida acqua di fonte, e, praticamente, non esiste come denaro, è meno difficile educare un ragazzo ad un simile equilibrio, a un simile libertà. Le cose diventano complicate là dove il denaro esiste ed esiste pesantemente, acqua plumbea e stagnante che esala fermenti e odori.


Questo è un pezzettino delle Piccole virtù, che non è proprio un racconto, e neanche un saggio, ma un concentrato delle cose che Natalia pensava, della sua visione del mondo. 

Ma ora, saltando di palo in frasca, torno alla Banca, per una via traversa. Un giorno, nella lunghissima ricerca di una casa da comprare, io Mauro e le bambine seguivamo un mediatore per la strada della Rassinata, e poi per una via laterale sterrata, a molti chilometri da Arezzo. Mauro diceva che non potevamo venire ad abitare quassù, troppo lontano!, era proprio inutile vedere quella casa, comunque fosse, anche fosse grandissima e in ottime condizioni, ma ormai eravamo arrivati e entrammo nella vecchia costruzione persa in mezzo ai boschi.
Era davvero una bella casa, con una forte personalità e un grande fascino, stanze piccole, collegate da scalette, alcune in legno, finestre sul bosco e scorci della valle, e io pensai, percorrendola, come sarebbe stato bello avere la libertà di abitarci. Salimmo un'ultima scala e ci trovammo in una sala non tanto grande, dalle pareti tutte dipinte. Si vedeva che gli affreschi non erano antichi, ma erano davvero belli, avevano il garbo, il gusto e la grazia di un'artigianato che si avvicinava moltissimo all'arte.
Era sorprendente trovare in vecchia casa rurale una stanza tutta affrescata. Guardai l'agente immobiliare con aria interrogativa.
"Bello, vero? Durante la guerra venne qui, sfollato, con la famiglia, il pittore che aveva dipinto il salone della Banca."
Non c'era neanche bisogno che dicesse quale banca, era la Banca, la Banca Popolare Aretina, già diventata ormai Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio. 
"Il pittore, che si chiamava Dragoni, quassù in mezzo ai boschi si annoiava e chiese il permesso ai padroni di casa di dipingere le pareti di questa stanza, un pò per passare il tempo e un pò per ringraziarli dell'ospitalità, ed ecco qui..." Per tutto il viaggio di ritorno pensai a quella stanza dipinta. Al pittore, che forse era tornato in città apposta per procurarsi i colori e i pennelli, e si era messo a lavorare, forse in estate, con le finestre aperte sul bosco e la valle, e l'aria profumata e calda che entrava ad asciugare il muro dipinto. La gente della famiglia doveva essere in estatica ammirazione: non avevano visto mai, lassù in cima al monte, uno che dipinge così bene, che fa apparire paesaggi e persone come se fossero veri, e meravigliosi decori a cornice, e il pittore dipingeva, serio e compreso, facendo solo qualche sorriso ai bambini, catturato dal suo lavoro e dalla sua passione... la storia del pittore Dragoni doveva essere stata bellissima anche quella e ora ne rimaneva il segno negli affreschi sulle pareti di un'antica casa abbandonata e odorosa di fumo vecchio.
Vedemmo quella casa, e me ne rimarrà il ricordo finché vivo, ma non ci passò per la testa di comprarla, così lontana da tutto, così difficilmente raggiungibile. Una casa troppo difficile per una normale vita familiare.

Ed ecco ancora Natalia Ginzburg,  riguardo alla vita familiare, da un altro racconto/saggio che si intitola  I rapporti umani:

Com'era forte e libero il nostro passo, quando si camminava soli, all'infinito, per la città! Guardavamo con commiserazione le famiglie, i padri e le madri a passeggio pian piano con le carrozzelle dei bambini la domenica sui viali: ci parevano una cosa noiosa e triste. Adesso siamo noi una di queste famiglie, camminiamo pian piano sui viali, spingendo la carrozzella: e non siamo tristi, siamo anzi forse felici, ma di una felicità che ci è difficile riconoscere, nel panico in cui siamo di poterla perdere da un momento all'altro per sempre: il bambino nella carrozzella che spingiamo è così piccolo, così debole, l'amore che ci lega a lui così doloroso, così spaventato! Abbiamo paura di un soffio di vento, d'una nuvola in cielo: non verrà la pioggia? Noi che avevamo preso tanta pioggia, a testa nuda, coi piedi nelle pozzanghere! Adesso abbiamo un ombrello. E ci piacerebbe avere anche un portaombrelli, a casa, ci colgono i desideri più strani, che mai avremmo supposto di poter avere quando andavamo soli e liberi per la città; vorremmo un portaombrelli e degli attaccapanni, delle lenzuola , degli asciugamani, un forno ventilato, un certo tipo di frigorifero. Stiamo attenti che ai nostri bambini non s'accosti gente troppo sudicia e povera, per paura di pidocchi e malattie, sfuggiamo i mendicanti. Amiamo i nostri figli in un modo così doloroso, così spaventato, che ci sembra di non avere avuto mai altro prossimo, di non poterne avere mai altro.

 Salto di nuovo ad un altro argomento: siete pronti? 
Lo zio, il nostro caro amico di famiglia che lavorava in Banca, era un "signorino". Signorino nel senso che non era sposato. Diceva così la mia mamma, che aveva un suo aspro senso dell'umorismo. Questo zio viveva con la madre anziana, una signora piccola e tutta bianca di capelli, una dominatrice ferrea e sottilmente autoritaria, con le mani rinsecchite cariche di anelli d'oro, che lui venerava. Quando la madre morì lui era già avanti negli anni, ma vacillò ugualmente, come se venisse a mancargli un elemento di sostegno insostituibile. Rimase coinvolto in un piccolo scandalo locale, si aprì una causa con la Banca e  dovette lasciare il lavoro. La Banca per lui era l'altro fulcro della vita, c'erano due punti di forza, tutti e due femminili, la Banca e la madre. Il fatto di cui era stato accusato non lo ricordo per niente e forse non l'ho mai conosciuto bene. Veniva ancora a mangiare da noi, di rado, e l'ultima volta portò con sé una borsa in cui disse di avere importanti documenti, che riguardavano il processo, documenti da cui non si poteva separare. Voleva tenerla sulla sedia  anche se ne occupava più della metà e mia madre non sapeva come fare. Era evidente che in casa nessuno poteva essere interessato ai suoi documenti, ma per lui c'erano minacce indefinite e oscure, nemici che potevano rubargli quelle carte anche lì da noi. Si rassicurò quando la mamma gli propose di nasconderle sotto il suo cappotto posato su una poltrona, lì nessuno poteva vederle. Capimmo così che era andato fuori di testa e provammo un dolore profondo.  All'epoca ero convinta che nessuno in Banca lo avesse difeso o avesse preso le sue parti, ma forse era solo una normale procedura nei confronti di un indagato. Tormentato dalla solitudine e dalla preoccupazione per il processo cominciò ad avere episodi di sonnambulismo. Una notte cadde, si ferì e fu portato in ospedale. Un paio di giorni dopo morì. Incontrai il suo medico per la strada e gli chiesi se aveva saputo "Il nostro amico comune ... è morto!" 
 Lui chiese subito se si fosse suicidato, e  mi fece impressione, perché anch'io l'avevo pensato, ma anche se non era stato così, comunque non voleva più vivere. Aveva più o meno la mia età di ora. Dopo pochi giorni si concluse il processo e fu emessa la sentenza che lo scagionava  completamente.  

Gli avevo voluto molto bene, si interessava sempre a me e alle mie storie, mi seguiva affettuoso come un "Padrino di battesimo non credente". Una specie di fata madrina al maschile. In casa nostra in effetti c'erano tratti di originalità. 

Una volta ero andata, per procurarmi un pò di soldi e rimediare un pasticcio che avevo combinato, a fare la cameriera nella foresteria di un convento per qualche giorno. Con me c'era una cara amica. Avevamo servito il pranzo che io avevo visto preparare. In cucina avevano tagliato a fette sottili della carne congelata da chissà quanto tempo, almeno dall'estate precedente, che era molto nera, ma impanata e fritta il colore non si vedeva più. 
Una signora mi aveva chiamato al tavolo"Cameriera!"
"Prego signora?"
"Volevo dirle che il pranzo era buonissimo!"
"Ah sì? Strano!" avevo risposto io del tutto sincera. Per fortuna nella sala c'era confusione, la signora, stupita, mi aveva  chiesto di ripetere, che le pareva di non aver capito bene, la mia amica era venuta subito in mio soccorso, e mi aveva dato una gomitata per farmi stare zitta e impedirmi di dire qualche altro sfondone.
Lo zio, quando gliel'avevo raccontato, aveva riso di gusto. 
Quello stesso giorno, al convento, avevo pulito il refettorio. L'avevo spazzato e poi mi ero accinta a passare lo straccio ben strizzato. La mia amica, quando aveva visto come mi preparavo a lavorare, che era il modo che avevo imparato a casa, aveva scosso la testa con vigore. "No, ma che fai, così ci metti due ore!" Aveva preso lo straccio fradicio e l'aveva passato così. "Ma così lo sporco non si toglie!" avevo esclamato.
"Lo sporco non va tolto, ma sparso uniformemente!" Aveva sentenziato lei. Forse la Paola se lo ricorda ancora...

Ogni volta lo zio, da quando gli avevo raccontato la mia breve esperienza al convento, mi richiedeva di raccontargli quella cosa dello sporco " Vieni qua, vieni qua e dimmi: come si fa con il pavimento? Cosa si fa con lo sporco?"

Non so se la Natalia Ginzburg avrebbe avuto piacere di essere mescolata con storie di case di campagna, banche e conventi, ma oggi è andata così...
Un'ultima cosa: quando sentivo parlare in televisione la Rita Levi Montalcini, gli ultimi tempi, spesso ricordava il suo insegnante, il professor Giuseppe Levi. Sta a vedere, pensavo io, che è il babbo della Natalia...quanti Levi professori di biologia all'Università potevano mai esserci al tempo degli studi della Levi Montalcini?
Infatti era proprio lui, quel babbo che Natalia descrive con tanto affetto e dice che nel foyer del teatro, nell'intervallo dellOpera, gridava "Ma di chi parlate? Del tale....? (facendo nome e cognome) Quello è un perfetto cretino!"
Questa cosa, fossi stata al posto suo, sarebbe successa pari pari anche a me. Ora spero solo che, anche se lo zio è morto da tanti anni, non salti fuori un erede che mi fa causa per aver raccontato questa storia, pur senza nomi e cognomi...


I rapporti umani

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In questi giorni, come dicevo, ho ripreso in mano "Le piccole virtù" di Natalia Ginzburg.  Si sposò molto giovane con Leone Ginzburg, un intellettuale antifascista, furono mandati al confino in Abruzzo, dovettero spostarsi per sfuggire alle persecuzioni e infine lui fu ucciso. In questo racconto, che si intitola  "I rapporti umani", Natalia parla dei rapporti umani nelle varie età della vita. In tutto il post le parole in rosso sono sue. Nel brano che segue vedete voi se non vi ritrovate, o non vi fa venire in mente qualcuno che, ora, sfugge da guerre o persecuzioni, qualcuno di cui, vedendolo sul web o in televisione sbarcare da battelli malconci, pensiamo che sarà un altro problema che si somma ai tanti che abbiamo. Non vi vergognate di questo, l'ho pensato anch'io e di questi pensieri non mi vergogno, se poi sono almeno un poco disposta a cambiarli.  

Ma viene allora il dolore per noi. L'avevamo aspettato, eppure non lo riconosciamo subito: non lo chiamiamo subito col suo nome. Storditi e increduli, fiduciosi che tutto si potrà rimediare, scendiamo le scale della nostra casa, chiudiamo quella porta per sempre: camminiamo interminabilmente per strade di polvere. Ci inseguono, e noi ci nascondiamo: ci nascondiamo nei conventi e nei boschi, nei granai e nei vicoli, nelle stive delle navi e nelle cantine. Impariamo a chieder aiuto al primo che passa: non sappiamo se sia un amico o un nemico, se vorrà soccorrerci o tradirci: ma non abbiamo scelta e per un attimo gli affidiamo la nostra vita. Anche impariamo a dare aiuto al primo che passa. E sempre custodiamo la fiducia  che tra poco, tra qualche ora o tra qualche giorno, torneremo alla nostra casa coi tappeti e le lampade;  saremo carezzati e consolati; i nostri figli siederanno a giocare con un grembiule pulito, con delle pantofole rosse. Dormiamo coi nostri figli nelle stazioni, sulle gradinate delle chiese, negli alberghi dei poveri: siamo poveri, pensiamo senza nessuna fierezza: scompare in noi a poco a poco ogni traccia di orgoglio infantile. Abbiamo della vera fame e del vero freddo. Non sentiamo più paura, la paura è penetrata in noi, è una cosa sola con la nostra stanchezza: è lo sguardo inaridito e immemore che gettiamo alle cose......
mai abbiamo tanto amato i nostri figli, il loro peso fra le nostre braccia, la carezza dei loro capelli sulle nostre guance, pure non sentiamo più paura nemmeno per i nostri figli: diciamo a Dio che li protegga, se vuole. Gli diciamo di fare come vuole. 

Diciamo a Dio di fare come vuole. Mentre per altri scrittori le parole che usano sono meravigliose, ma possono essere riassunte, per Natalia Ginzburg non è possibile, le parole che usa sono necessarie e sono un tutt'uno col suo pensiero. Sono parole che vengono dirette dalla sua esperienza e non c'è mai retorica, e neanche volontà di insegnare, servono solo a  passare una testimonianza, a chi la vuole raccogliere.

E adesso siamo veramente adulti, pensiamo un mattino, guardando nello specchio il nostro viso solcato, scavato: guardandolo senza nessuna fierezza, senza nessuna curiosità: con un pò di misericordia. Abbiamo di nuovo uno specchio fra quattro pareti: chi sa, forse fra poco avremo di nuovo anche un tappeto, una lampada, forse. Ma abbiamo perduto le persone più care: e allora cosa ci importa ormai di tappeti, di pantofole rosse? 
E adesso siamo veramente adulti, pensiamo, e ci sentiamo stupiti che essere adulti sia questo, non davvero tutto quello che da ragazzi avevamo creduto, non davvero la sicurezza di sé, non davvero un sereno possesso di tutte le cose della terra.

Questo brano che segue continua a parlare dell'essere adulti. Io da bambina mi vedevo un'adulta con una gonna scozzese. Simile a quelle della mamma, ma più colorata, volevo essere più colorata di lei, che mi sembrava scialba, ma solo nei colori. Vedevo scialbo il modo di vivere degli adulti, i discorsi sui soldi , sull'incastro delle spese nello stipendio, sulle altre persone, e così non immaginavo neanche la mia faccia adulta,solo quella gonna scozzese, e arrivare ad essere grande mi pareva un obbligo, ma anche un traguardo, quando sarei stata sicura di tutto e serena  e distaccata e padrona dei miei sentimenti e delle emozioni. Non è stato così, non ci si immagina che saremo adulti con tante fragilità, e che il mondo sarà colorato di infinite sfumature che da bambini immaginavamo soltanto. Poi ci si succede qualcosa, a chi succede, che per un tempo breve illumina il mondo e ce lo fa vedere reale, com'è. Ecco che dice Natalia.

Siamo adulti per quel breve momento che un giorno ci è toccato di vivere, quando abbiamo guardato come per l'ultima volta tutte le cose della terra, e abbiamo rinunciato a possederle, le abbiamo restituite alla volontà di Dio: e d'un tratto le cose ci sono apparse al loro giusto posto sotto il cielo, e così anche gli esseri umani, e noi stessi sospesi a guardare dall'unico posto giusto che ci sia dato: esseri umani, cose e memorie, tutto ci è apparso al suo posto sotto il cielo.  In quel breve momento abbiamo trovato un equilibrio alla nostra vita oscillante: e ci sembra che potremo sempre ritrovare quel momento segreto, ricercare là le parole per il nostro mestiere, le nostre parole per il prossimo; guardare il prossimo con uno sguardo sempre giusto e libero, non lo sguardo timoroso e sprezzante di chi sempre si chiede, in presenza del prossimo, se sarà suo padrone o suo servo. Noi tutta la vita non abbiamo saputo essere che padroni o servi: ma in quel nostro momento segreto, in quel momento di pieno equilibrio, abbiamo saputo che non c'è vera padronanza né vera servitù sulla terra. Così adesso, tornando a quel nostro momento segreto, cercheremo negli altri se già è toccato loro di vivere un momento identico, o se ancora ne sono lontani: è questo che importa sapere. Nella vita di un essere umano è il momento più alto; ed è necessario che stiamo con gli altri tenendo gli occhi al momento più alto del loro destino. 


Certo, è più facile lavorare, vivere, parlare, anche sedersi vicini in silenzio, mangiare insieme, passeggiare senza dire nulla, con qualcuno che ha vissuto quel momento di pieno equilibrio di cui parla Natalia, e le parole che escono con questo tipo di persone, con persone che hanno avuto quest'esperienza, ci pare non possano essere fraintese.

E la storia dei rapporti umani non è mai finita in noi: perché a poco a poco succede che ci diventano fin troppo facili, fin troppo naturali e spontanei i rapporti umani: così spontanei, così senza fatica che non sono più ricchezza, né scoperta, né scelta: sono solo abitudine e compiacimento, ubriacamento di naturalezza. Noi crediamo di poter sempre tornare a quel nostro momento segreto, di poter sempre attingerci le parole giuste  ma non è vero che ci possiamo sempre tornare, tante volte i nostri sono falsi ritorni: accendiamo di falsa luce i nostri occhi, simuliamo sollecitudine e calore al prossimo e siamo in realtà di nuovo contratti, rannicchiati e gelati sul buio del nostro cuore. I rapporti umani si devono riscoprire e riinventare ogni giorno. Ci dobbiamo sempre ricordare che ogni specie d'incontro col prossimo è un'azione umana e dunque è sempre male o bene, verità o menzogna, carità o peccato. 

Se ricordassi questo sarei meno distratta, meno avventata, e non direi banalità, come chi dice" la vita è tutta una fregatura", "siamo nati per soffrire". Non che non lo pensi, a volte. Ma questa della vita, per quel che ne so, è un'unica occasione e credo che dovrei viverla distinguendo sempre male e bene, verità e menzogna, carità e peccato; evitando le banalità e pesando le parole.

  Noi siamo ora così adulti, che i nostri figli adolescenti già prendono a guardarci con occhi di pietra: ne soffriamo, pur sapendo bene cos'è quello sguardo, pur ricordando bene d'aver avuto un identico sguardo. Ne soffriamo e ci lamentiamo, pur sapendo ormai così bene come si svolge la lunga catena dei rapporti umani, la sua lunga parabola necessaria, tutta la lunga strada che ci tocca percorrere per arrivare ad avere un poco di misericordia.

Quest'anno 2014 è stato particolarmente duro e faticoso, con diversi malesseri fisici, ma anche ricco di emozioni e di sentimenti, non tutti positivi, d'accordo, ma tutti degni di essere vissuti. Per questo mi hanno trovato le parole di Natalia , non sono io che le ho scelte, ma loro che sono riaffiorate dal ripostiglio del cuore in cui hanno trovato casa . Faccio gli auguri per il nuovo anno a tutti, alle persone da cui quest'anno ho dovuto con tanto dolore distaccarmi, le abbraccio con affetto profondo e immutato. Auguri ai cari amici di blog, a Sari, a Loretta, a Cinzia, a Gingi, a Grazia, a Ommarì, a tutte quelle di cui ora non mi vengono i nomi, ai rari maschi che compaiono, Gianni, Alberto, Mariolino...auguri da me e dal fotografo...

Charlie Hebdo, la satira, il terrorismo

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“Il vero potere distruttivo del terrorismo sta nel portarci a scoprire il male che esiste in noi esseri umani. La grettezza, la barbarie, il caos. E questo è vero sia per i singoli individui che per l’intera società.
Il terrorismo - certamente quello degli assassini di Parigi - non vuole intavolare un dialogo ma sgretolare la società contro la quale opera. Mira a dissolvere i legami e le convenzioni che tengono uniti gli esseri umani a dispetto delle loro differenze e delle loro controversie, a disgregare rapporti creati e consolidati con grande fatica e non sempre con successo tra persone appartenenti a gruppi diversi, ad abolire le aperture del mondo illuminato all’uguaglianza, alla dignità umana, al riconoscimento della libertà di espressione e alla democrazia, che sono fra le maggiore conquiste dell’umanità”


Mi sento incapace di commentare con le mie parole quello che è successo in questi giorni, e uso quelle scritte da David Grossman riportate nel blog di Loredana Lipperini.


Mi è venuta in mente una cosa riguardo alla libertà di satira in discussione in questi giorni. Una copertina di Charlie Hebdo che si è vista passare in tv ha infastidito anche me, lo stesso fastidio che credo provino i musulmani quando le loro cose sacre sono oggetto di satira. Io non posso considerarmi veramente religiosa, non pratico da tanto, nonostante questo quando vedo deformate e offese le cose oggetto di fede provo irritazione. Mi pare che si debba trattarle con rispetto anche se non si condividono o non ci si crede.
Tuttavia il giornale francese aveva una diffusione molto limitata, Lo compravano, prima della strage, circa trentamila persone, o forse il doppio, ma anche sessantamila è un numero piccolo in una nazione come la Francia. Per cui mi pare che alla fine la presenza di questo tipo di pubblicazioni sia un pò come un segnale che l'organismo sociale è sano, che riesce a sopportare opinioni discordanti, un pizzico di veleno espresso con ironia, l'Ombra che emerge contrapposta alla luce. E tutti sappiamo, come dicevo in un post di tanto tempo fa, che chi non fa ombra non esiste.

SYM, il Parassita

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Alla fine del 2012 avevo pubblicato su questo blog un racconto scritto in occasione della fine del mondo prevista per il 21 12 2012. Ora questo racconto si è allungato ed è finito. Vista la (mia) difficoltà di trovare editori interessati ho pensato di pubblicarlo qui a partire da oggi. Ne metterò a disposizione un pezzettino per volta, e vediamo se sarò abbastanza soddisfatta del mio lavoro da pubblicarlo fino alla fine. D'altra parte questo è un blog, un editore ed un impegno preciso non ci sono, e si può smettere quando si vuole. Consideratelo un regalo per questi tempi bui, spero che vi piaccia e, per qualche strada impensabile, possa servire a qualcuno di voi. Oh, naturalmente, questa è l'introduzione e il primo capitolo.



SYM, il Parassita.

Il miglior modo di predire il futuro è inventarlo- Alan Kay

Era il dicembre del 2012 e stavo finendo di scrivere un altro libro, “E' il freddo di questa notte”, nelle pagine più dolorose. In quei giorni dappertutto si parlava della profezia Maya sulla fine del mondo, che doveva realizzarsi (sia la profezia che la fine del mondo) il 21 dicembre; qualcuno aspettava una catastrofe ( si vede che non bastano quelle che accadono quotidianamente) qualcuno diceva che sarebbe stata la fine del mondo conosciuto e l'alba di una nuova Età d'Oro. Io avevo bisogno di distrarmi da quell'altro racconto e pensare ad una cosa leggera, una specie di favola di Natale, così cominciai a scrivere, per il mio blog e soprattutto per i miei lettori/amici, la storia di una possibile fine del mondo: un essere di scaglie che scende dallo spazio cosmico sulla Terra... non inventavo niente; molti anni prima avevo letto un romanzo di fantascienza in cui gli uomini avevano incontrato su un pianeta lontano degli esseri che chiamavano le Coperte, che vivevano in simbiosi con loro e sopperivano ai bisogni di vestirsi, nutrirsi e sentirsi amati. Mi era piaciuto tanto e ne ricordavo dei pezzetti a distanza di tanto tempo. Le “coperte” amavano la musica e componevano sinfonie meravigliose.
Nella mia storia misi degli esseri che mi ricordavano le Coperte. D'altra parte ho trovato ispirazione anche in altri racconti, come  "La bussola d'oro", per esempio. A volte i racconti mettono radici, o prendono casa, in me, e mi sorprendo a cercare di continuarli in qualche modo.

Comunque: con l'arrivo di questi esseri il mondo cambiava in quel modo radicale che una buona parte dell'umanità desidera e ricominciava rinnovato. Scrissi le prime cinque puntate sul blog seguita dalle mie appassionate lettrici e dai miei sporadici lettori maschi, che sono quasi tutti altrettanti blogger che io, a mia volta, leggo con piacere. Solo in seguito pensai che era il caso di vedere come continuava la vicenda di Paolo Giusti, sua moglie Gigliola, sua figlia Giulia, il fidanzato di sua figlia Alan e... ogni tanto mi saltava fra le dita che battevano sul computer qualche nuovo personaggio, fino a delinearsi un paesino intero e anche alcuni Cattivi... Il libro si intitola il Parassita, perché io credo che anche se tornasse Gesù in persona non saremmo capaci di riconoscerlo, figuriamoci un essere di scaglie luminose come sarebbe accolto. Gli ho dato il nome di SYM, da simbionte, ma Sim è anche la sigla del Servizio di Igiene Mentale e spero si capisca l'ironia. Ho messo dei personaggi ispirati a persone esistenti o esistite, come il signor Primitivi, nel quale si può riconoscere un ritratto di fantasia del maestro giardiniere Carlo Pagani, che d'altra parte io non conosco di persona, o il prof. Goretti, che è stato un insegnante di mia figlia molto amato e rimpianto e che io ho fatto guarire, cosa che nella realtà di questo universo non è avvenuta.

PIANETA DI PERLA

Il dottor Deepak Bhat si stava preparando a rientrare sulla Terra. Viveva da ormai sei mesi nella stazione orbitante ed era impaziente di tornare e riabbracciare i suoi familiari e gli amici, ma una parte di lui, lo sapeva, avrebbe rimpianto la permanenza e atteso il momento in cui l'avrebbero comandato per un'altra missione nello spazio. Uno dei suoi istruttori, un grosso estone dalla risata contagiosa, durante le lezioni aveva chiamato quell'emozione il “Mal di spazio”. Sarebbe mai tornato quassù? Per alcuni astronauti c'era stata un'unica esperienza del genere, nel corso della vita. Si avvicinò in volo all'oblò più vicino per ammirare ancora una volta la Terra.
Era meraviglioso! Una volta arrivati alla stazione orbitante non ci si trovava apprezzabilmente più vicino ad un qualunque corpo celeste, neppure alla Luna, l'unica distanza che si modificava in modo sensibile era quella rispetto alla Terra e vedere il proprio pianeta, la propria casa, da lassù, era un'esperienza indimenticabile. Deepak si sentiva traboccare d'amore per il pianeta madre. Negli ultimi vent'anni si era aggiunto lo spettacolo del fenomeno dei Cicli di Flusso del SYM, nel corso dei quali si vedeva l'atmosfera colorarsi e diventare luminescente a causa delle particelle perlacee che a partire dalla fine del 2012 si trovavano nell'aria. Le particelle di polvere non erano visibili se non nei Cicli di Flusso e in quei giorni, o ore, l'aspetto della Terra, vista dallo spazio, cambiava, avvolta com'era da una fine nube perlacea che non impediva di vedere il pianeta, lo velava appena. Il suo collega italiano, il maggiore Marco Parrini si avvicinò e restò con lui a guardare: 
“Un pianeta di perla...”disse.
Oh sì.” Restarono per un po' in silenzio, incantati.
Ma dimmi -disse Deepak- il fenomeno dei Cicli di Flusso è cominciato nel 2013?”
No, è iniziato più o meno due anni dopo, quando il SYM si è espanso su tutto il pianeta.. già, ma tu sei troppo giovane per ricordare, sei un ragazzino.”
Ragazzino non direi, ho trent'anni, una moglie e due figli e all'arrivo del SYM avevo 8 anni!”
8 anni. Si può dire che sei un nativo SYM. Un tempo si diceva, dei ragazzini nati all'inizio dell'epoca dei computer, che erano nativi digitali. Ora diciamo nativi SYM.”
Deepak rise.
Saremo anche nativi SYM, ma ancora non conosciamo a fondo questi Cicli di Flusso.”
Ci sono moltissime cose che ancora non conosciamo del SYM, ma se mi chiedi se vorrei tornare a prima del suo arrivo, ti dico che non vorrei, per tutto l'oro del mondo.“
Ricordi bene il tempo prima del suo/loro arrivo?”
Perfettamente. Ero un ragazzo di 23 anni quando tutto iniziò...” Marco sembrò immergersi nei propri ricordi.
Deepak disse: “Non possiamo partire finché il Ciclo non si conclude...”
No.” disse Marco.
Ed è sempre così, imprevedibile l'inizio, più o meno a cadenza mensile, come i cicli lunari, ma non possiamo in precedenza conoscere con precisione il giorno e l'ora, però sappiamo che in questi periodi è meglio non viaggiare in aereo e non attraversare l'atmosfera per non disturbare l'evoluzione del fenomeno...”
E' vero. Il SYM funziona come un immenso organismo. Come dici tu ancora ne sappiamo così poco. Il bello è che anche chi si trova negli aeroporti aspetta con pazienza che il ciclo finisca.. è una conseguenza della simbiosi, rispettare i cicli del SYM.“
Marco guardò l'orologio e disse “ Il flusso è iniziato da poco e ha interrotto le procedure per la partenza. Dovremo in qualche modo usare queste ore che restano prima che finisca, ma io ho concluso tutti i miei esperimenti e le mie rilevazioni e per una volta non ho niente, veramente niente da fare.” Il tempo nella stazione orbitante era accuratamente suddiviso in moltissime attività, compreso il sonno, senza spazi vuoti.
Potresti raccontarmi l'arrivo del SYM..” Disse Marco, e sorrise. Sorrise anche Deepak.
Ho saputo che tu conosci il racconto italiano, anche se sei indiano.”
Proprio così. E tu che sei italiano non lo conosci?”
No. Quando tutto iniziò mi trovavo già a studiare ingegneria aerospaziale negli USA. Quindi- Marco aprì la mano ed enumerò con le dita- ho il racconto americano, che poi sono almeno tre, quello cinese che è molto diffuso, ma quello italiano, di casa mia, mi manca. ”
Allora sarà meglio riparare a questa mancanza. Oltretutto a me piace moltissimo raccontare l'arrivo del SYM. Ai miei bambini credo di averlo già raccontato almeno 4 volte, anche se il piccolo ancora non può capirlo. Con tutti i dettagli. “
E' uno smacco per me non conoscerlo. In fondo io sono non solo italiano, ma toscano e il SYM scese in Italia proprio in Toscana, intorno al paese della Chianella.”
Sì, in Toscana, intorno ad un paesino della Val di Chiana,dove l'unica cosa importante che c'era, era l'ospedale.”
E allora comincia, Deepak. Ti ascolto.” Marco si mise comodo, imitando la posizione di uno che sta disteso in poltrona, solo che lui era sospeso nell'aria.
“Vediamo se mi ricordo..” Disse Deepak Bhat.
 

Sym, il Parassita. 2

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Prima di cominciare: le prossime puntate saranno un pò noiose per Sari e Grazia che le hanno già lette un paio d'anni fa. 


Il racconto di Deepak: 

La bambina, la donna anziana, gli ubriachi


Era la notte del 20 dicembre 2012, limpida, senza nuvole e senza luna. In una casa isolata nella campagna toscana, nei pressi del borgo della Chianella si stava svolgendo una piccola festa a cui erano presenti alcune coppie di giovani e una sola bambina intorno ai quattro anni, figlia dei padroni di casa. Da molto tempo si parlava di una profezia del popolo Maya che riguardava la fine del mondo, che doveva avverarsi proprio il giorno dopo. Si trattava di un complesso computo del tempo contenuto in un antico calendario scolpito nella pietra, la fine di un ciclo temporale calcolato sul movimento dei pianeti, ma si era montato intorno a questa cosa un gran polverone e molti ci avevano creduto, e avevano cercato di rifugiarsi in località ritenute sicure. I giovani che quella notte si erano riuniti e avevano cenato in allegria avevano trovato solo un'altra occasione di stare insieme, che aveva per tema “la fine del mondo domani”.
Avevano preparato poesie e canzoni scherzose che adesso stavano declamando. La bimba dormiva già da un po', ma si svegliò richiamata da un messaggio silenzioso, saltò fuori dal suo lettino e riuscì a sgattaiolare, da un finestrone socchiuso, in giardino. Si guardò intorno, ma era buio pesto, solo il cielo era luminoso. Le piaceva molto guardare il cielo e le stelle quella notte apparivano più numerose e luccicanti del solito per l'assenza della luce lunare. Poco prima, quando era ancora in casa, c'era stato un rumore, ma nessuno lo aveva sentito per la musica e le chiacchiere. Uno sciame di bolidi era precipitato sulla terra e si erano bruciati e frammentati nel contatto con l'atmosfera. Ora dall'alto cadeva sfrigolando leggermente una pioggia di particelle luminose. La bambina alzò le manine per toccarle. Le aderirono alla mano senza produrre effetto di calore o di freddo. La bambina disse: “Le fate!” E cominciò a ballare nella pioggia luminosa. Dalla casa si sentì la voce della madre, che si era affacciata nella camera e non l'aveva trovata : “Gaia? Dove sei? Quante volte ti ho detto di non uscire senza dirlo? E poi fa tanto freddo ...” Sara uscì e vide sua figlia che danzava in pigiama nella pioggia di luce. “Vieni dentro !” gridò allarmata. 
Poi chiamò gli altri : “Venite a vedere che succede! Che può essere?” Tutti si affacciarono alle finestre.
Uno di loro disse: “ A Firenze, molti anni fa, ci fu una pioggia di un materiale che si presentava in fiocchi bianchi, come la lana di vetro...”
Ma questo è diverso … sembra solo luce ..”
Forse è caduto un meteorite e ha rilasciato dei composti del fosforo..”
Gaia era entrata in casa controvoglia. “Le fate.“ dichiarò.
Lei pensa sempre alle fate, vede cose strane ogni tanto, soprattutto fate.” Disse il suo babbo. 
Uno dei loro amici rise. “Non se le sarà inventate da sola! Le avrete detto voi qualcosa sulle fate e i bambini vanno avanti da soli con la fantasia...non c'è proprio niente di strano.”
La mamma guardò Gaia per bene, sulla pelle delle mani e del viso era rimasta una leggera luminosità, come un velo.
Provò a toglierlo con la mano, ma non se ne andava. 
“Sarà meglio andare di nuovo a lavarsi e poi a letto!” disse, inquieta. Gaia sorrise. “Non è niente, mammina, ti dico che sono le fate!”
La luminosità leggera non scomparve neanche con il bagno e la mamma resistette alla tentazione di portare la bimba all'ospedale. Era un viaggio piuttosto lungo e poi era notte fonda, e la bambina stava bene, potevano andarci il giorno dopo. Gaia diede un bacino alla mamma, al babbo, ad ognuno degli ospiti e presto si addormentò. Fece dei sogni bellissimi.


Distante da quella casa almeno un chilometro ce n'era un'altra, abitata da una donna sola e molto anziana. Da parecchio tempo ormai viveva in tre stanze del pianoterra, per non dover salire le scale. La casa era isolata in mezzo al bosco, trasandata e poco pulita, ma l'anziana era del tutto sola e poteva contare solo su scarsi aiuti dei servizi sociali. Da qualche giorno le sue condizioni erano peggiorate, ma quando sentì un miagolio disperato nel bosco vicino alla casa si alzò con fatica dalla sua poltrona, mise un cappotto che teneva sulla sedia lì accanto, prese una torcia che teneva anche quella sempre vicino a sé e uscì in ciabatte per cercare il gatto che continuava a chiamarla. Dal cielo scendeva fra gli alberi spogli una pioggia leggera di scintille luminose. Non aveva mai visto una cosa simile. Alzò la torcia verso l'alto. Il gatto aveva smesso di miagolare e lei restò, stordita e rallentata dal freddo, a guardare il fenomeno delle piccole luci fredde. Le fece un po' paura. Fra gli arbusti il suo gatto Nino si mosse e le venne incontro facendo le fusa. Lei si riscosse e si avviò verso casa brontolando col gatto che l'aveva costretta ad uscire nella notte, d'altra parte era l'unica creatura che le fosse rimasta vicina, l'unico a cui importasse qualcosa di lei e non poteva perderlo. Intorno continuava a scendere silenziosa la pioggia di scintilline fredde e le venne in mente che era curioso vedere una cosa del genere poco prima di morire. Forse fu il gelo, ma appena entrata in casa si sentì svenire e scivolò a terra. Aveva un piccolo apparecchio che, premuto, lanciava un segnale di richiesta di aiuto, una diavoleria per anziani soli. Riuscì ad attivarlo prima di perdere i sensi, poi scivolò in una gradevole incoscienza. Alcune scintilline luminose si erano posate sulla sua pelle, sul viso e sulle mani. Cominciarono ad esplorarla e a moltiplicarsi su di lei, entrando negli orifizi del naso, della bocca semiaperta, delle orecchie. Dalla porta entrava il freddo pungente della notte e la donna si trovava sdraiata proprio in mezzo all'ingresso. Si raffreddò sempre più e restò immobile, mentre il gatto si arrotolava nell'incavo formato dalle gambe piegate facendo le fusa. Lentamente e senza dolore la donna si inoltrò nella morte, restando sospesa sull'orlo.


In una strada al margine del bosco, nel paesino della Chianella, un uomo solo e ubriaco camminava e sbandava. Cadde e restò a sedere con la bocca aperta. Non si accorse della pioggia di luce che gli cadeva addosso finché non riaprì gli occhi, si riscosse e si spaventò a morte. Gli parve una spaventosa pioggia di fuoco. Aveva in tasca un coltello. Prese a correre per la stradina e si trovò faccia a faccia con un altro ubriaco uscito da poco dall'osteria del paese. Tutti e due si spaventarono molto, l'uno già impaurito, l'altro si vide arrivare addosso il primo e gridò, in un attimo quello tirò fuori, per istinto, il coltello … La polvere di luce li copriva entrambi e l'intera scena, se ci fosse stato qualcuno a vederla, sarebbe parsa surreale. Quando il primo uomo affondò il coltello nel corpo dell'altro, attraverso la lama gli arrivò in un lampo, con la rapidità del pensiero, il flusso delle emozioni della sua vittima. Sorpresa, paura, terrore, incredulità, e moltissimo dolore. Terrorizzato e inferocito ritirò la lama e tornò a colpire molte altre volte, ma le emozioni che lo assalivano ad ogni colpo erano sempre più potenti e lo invadevano, finché l'altro cessò di vivere e lui sentì di non sopportare più e rivolse il coltello contro di sé.
La polvere di luce che li copriva entrambi d'improvviso si spense e cadde a terra in fiocchi grigi di cenere. I due uomini restarono sul selciato, uno morto e l'altro agonizzante. Dalle case sentirono un unico grido e poi il silenzio.

Le persone che, quella notte, in Italia, fecero il loro incontro con la pioggia di luce furono davvero poche. In altri luoghi del pianeta il fenomeno avvenne di giorno e quasi nessuno se ne accorse, lì per lì, salvo poi ritrovarsi la pelle soffusa di una luminosità leggera, come un fondotinta luccicante. 

L'ospedale

La mattina dopo Sara andò a svegliare sua figlia, si affacciò nella piccola camera e sobbalzò nel vedere che la piccola dormiva profondamente circondata da un alone luminoso che pulsava al ritmo del suo cuore. Aveva buttato via le coperte e sembrava non sentisse freddo. Resisté all'impulso di scrollarla e svegliarla di colpo, chiamò Nanni perché venisse a vedere: tutti e due respiravano piano sopra la piccola immersa nel sonno, le loro teste si toccavano.
Che sarà, secondo te?”
E' la cosa di stanotte.”
Dio mio. Dorme così bene.”
Chiama Paolo.”
Paolo era il pediatra della piccola Gaia, amico fin da ragazzo dei genitori di Sara. 

Paolo Giusti

Paolo Giusti era un pediatra di sessant'anni con un brutto carattere. Un'infermiera nativa della Chianella diceva che era “scorbellato”, una parola dialettale che significava qualcosa come ombroso e scorbutico. Quando entrava al lavoro il personale del reparto si domandava fra di sé: “Com'è oggi? Morde? Ringhia?” Alcuni di loro, invece, gli erano molto affezionati.
Il dottor Giusti aveva passato la notte al lavoro e aveva colto l'occasione per stare vicino ad un suo piccolo paziente molto grave. Negli ultimi anni aveva perso molti punti di riferimento, le sue stelle di navigazione si erano offuscate, come diceva lui, e il lavoro era diventato il centro della sua vita ancor più di quanto lo fosse stato fino ad allora, col risultato che ogni bambino che non riusciva a guarire era una sconfitta personale. Non lo confessava, considerava una debolezza grave questa sua mancanza di adattamento alla realtà.
Non puoi prenderla così” gli diceva il suo amico, il dottor Guido Di Segni, che lavorava nel reparto di analisi dello stesso ospedale. “Non è dalla persona intelligente che sei pretendere di risolvere ogni caso che affronti, sai bene che ci sono troppe varianti in campo: genetiche, ambientali, culturali, economiche...la salute è una somma di fattori e un certo peso ce l'ha la fortuna...o, per chi crede, la volontà divina.” Paolo lo fulminava con gli occhi. Non gli piacevano questi discorsi, non gli piacevano le sconfitte e non gli piaceva per niente rimandare a casa un bambino asmatico, sapendo che sarebbe rimasto asmatico, ma zeppo di farmaci, o presenziare ai funerali. Quella mattina era stanchissimo, ma quando Sara gli telefonò le assicurò che l'avrebbe aspettata anche dopo la fine del suo turno. A casa non lo aspettava nessuno, da quando sua figlia era andata a coabitare con delle amiche in città, qualche anno fa, e lui e sua moglie si erano separati, un paio d'anni prima. Una separazione informale, senza carte né avvocati, ma sostanziale, visto che lei era andata ad abitare a Firenze. Essere rimasto solo aveva peggiorato il suo carattere, gli mancava sua figlia, anche se sapeva che doveva permetterle di crearsi una propria vita. Così quando la sentiva al telefono evitava accuratamente di farle capire quanto avrebbe voluto che lei fosse a casa. Gli mancava molto sua moglie, ma non le loro liti. Era impossibile prendere sua moglie senza litigarci, era un pacco unico. Gli mancava, rifletteva a volte, qualcosa che non esisteva, che non era mai esistito se non nella sua fantasia: una famiglia unita, serena e pacifica che funzionasse come un porto sicuro per l'anima nelle avversità della vita. Stare solo gli era sembrato un rimedio, una buona scelta, e invece era tormentato e si sentiva quasi inseguito, da chi o cosa non avrebbe saputo dire. Il fatto era che non dormiva se non era stanchissimo, e allora si stancava molto, e da sveglio aveva bisogno di tenersi impegnato per non farsi domande, o per evitare che le domande si affacciassero alla coscienza...Erano le nove del mattino quando Paolo esaminò Gaia in modo approfondito.
 

SYM, il Parassita 3

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Non c'è niente che non vada, la bambina sta bene.” disse Paolo accarezzandole la testa. “Ma certo è almeno curioso.”
Cosa è curioso ?” Chiese Gaia.
“Il luccichio, il luccichio è curioso.” disse Paolo.
Ma te l'ho detto che sono le fatine!” Esclamò la piccola.
“Proverò a prendere un campione ed esaminarlo. “Disse Paolo.
Sara lo prese da parte: “Le farai male?”
Ma no! Provo a strofinare la pelle con un cotton fioc, aspetta, lo facciamo subito. E le facciamo un prelievo di sangue per sicurezza.” 


Altrove nella notte un'auto si era fermata davanti alla casa della vecchia signora, poi era arrivata un'ambulanza. I due, medico e paramedico, erano sconvolti. Avevano trovato il bosco spoglio intorno alla casa ancora vagamente luminoso. Ma ciò che li aveva terrorizzati era la donna, a terra, raggomitolata sul pavimento dell'ingresso, coperta da una specie di sottile corazza dura e calda. Sotto questa corazza di un materiale simile a terra e luce che la teneva incollata al pavimento la donna era come in animazione sospesa, respirava ad intervalli assolutamente impossibili ed era ancora tiepida. I due erano sinceramente spaventati. Quando arrivò l'ambulanza parlarono tutti insieme di ciò che si doveva fare.
Intanto facciamo delle foto col telefonino.”
Ce l'hai il flash?”
I guanti, mi raccomando, non sappiamo cosa sia questa roba.” “Chiamate il pronto soccorso, allertateli su questa.. questa cosa.”
La caricarono sulla barella e sull'ambulanza. I guanti si coprirono di polvere luminosa. In ambulanza la corazza, che si era spezzata durante il trasbordo, cambiò sotto i loro occhi, adattandosi alla barella e ricomponendosi sulla pelle della donna. I due che stavano con lei erano eccitati e spaventati a morte.
Fai altre foto, svelto!”
La corazza crebbe e sembrò attirare la polvere presente nell'abitacolo, si gonfiò e prese quasi la forma della pelle di un rettile, poi improvvisamente tutto si disfece sotto i loro occhi, si alzò una nuvola di particelle luccicanti e non restò nulla, nulla neanche del corpo della donna, solo un sottile strato di cenere che segnava il posto occupato dal corpo sulla barella. Fu impossibile non respirare la polvere all'interno dell'abitacolo anche se si coprirono il viso. Nel momento che respirarono la polvere uno dei due, il paramedico, che si chiamava Marco, seppe cosa aveva vissuto l'anziana signora e rivisse in un attimo i minuti prima della sua morte. Quando scesero dall'ambulanza trovarono difficile raccontare l'esperienza appena vissuta. Il paramedico disse che c'era un gatto con la donna, un gatto nero che si chiamava Nino.
Come fai a saperlo?”
Sinceramente non so.” disse lui. Si guardò le mani, avevano cominciato a luccicare debolmente come se avesse maneggiato della porporina.

Nel reparto di pediatria dello stesso ospedale intanto Paolo aveva preso un cotton fioc e una lente d'ingrandimento. Delicatamente passò il bastoncino sulla pelle di Gaia. Gli sembrò che qualche particella luminosa fosse passata sul cotone. Bagnò un altro bastoncino e lo passò di nuovo sul dorso della manina della bimba. Questa volta il bastoncino restò macchiato e lasciò una traccia su un vetrino da microscopio. Poi ne prese un altro e lo passò sulla mucosa della bocca della bimba .
E' proprio curioso...anche la mucosa brilla ..”
Ed è preoccupante, vero? “ disse Sara con la voce piena d'ansia.
 Davvero non so che dirti, ma la bimba sta benissimo ed è inutile allarmarsi, ora chiamo il laboratorio di analisi, ci dovrebbe essere di turno il dottor Di Segni...aspetta..”
Prese il telefonino dalla giacca, cercò il numero e parlò col suo collega e grande amico.
Sì, sono Paolo. Ti mando un paio di campioni da analizzare, ma devi farmi un piacere, non deve risultare niente, per ora, ho bisogno di assoluta discrezione... appena fatto sali da me per piacere, se possibile... no, non scrivere niente...ci vediamo dopo.“
Per questo tipo di comportamenti Paolo si era messo nei guai più volte, e alla fine, pur essendo un medico molto competente, era stato esiliato in quell'ospedale perso nella campagna, ma a lui non importava, non aveva da tempo più ambizioni, non gli piacevano le lotte di potere fra colleghi, tutto ciò che continuava ad interessarlo, dopo tanti anni di professione, era la salute dei bambini.
Mentre rimetteva il telefonino in tasca, il dottor Giusti si accorse di sentirsi strano, cioè: non proprio strano, ma diverso da prima, da pochi minuti prima...si toccò la faccia, sentiva che c'era qualcosa di insolito.. si girò e si guardò allo specchio appeso sopra il lavandino. Aveva l'angolo della bocca sollevato, a sinistra. Una specie di smorfia asimmetrica...Un'emiparesi? Ma che! Era un sorriso, che finì di formarsi proprio mentre si guardava. Paolo sentì che dentro di lui qualcosa si scioglieva, come se si aprisse una finestra su un panorama primaverile, come se apparisse uno spicchio di cielo azzurro fra le nubi grigie, come se una molla tesa fra le spalle e il collo si allentasse ... Erano mesi che non sorrideva! Almeno che non stirava le labbra per educazione, per rispondere ad un sorriso o ad un saluto. Si voltò verso Gaia e Sara che, a loro volta, gli sorrisero, incoraggianti.
Gaia era insolitamente tranquilla e guardò fuori dalla finestra come se non avesse mai visto il mondo.
Andiamo a fare una passeggiata?”chiese alla mamma.
Ma se non vuoi mai uscire in questi giorni! Ora che ti prende?”
E' una giornata proprio bellissima, mammina! E le fate vogliono vedere fuori!” 
Paolo sorrise di nuovo. Doveva essere stata quella bambina simpatica a farlo sorridere, a sciogliere quel nodo di tensione e tristezza, sicuramente era lei, una bambina allegra, fantasiosa, non propriamente bella, non da pubblicità televisiva, ma così vera...Paolo chiamò un'infermiera e chiuse la porta. Avrebbe preferito che ci fosse Milena, ma non era di turno, bisognava contentarsi di Marina, che comunque, per i prelievi, era bravissima.
“Venga, Marina, dobbiamo fare un prelievo a questa signorina, ti facciamo un buchino piccolissimo, sentirai un pizzico, ma tu sei una bambina che non si impaurisce per questo, no? La mamma mi ha detto che stanotte sei uscita da sola in giardino ...”
Sì, perché arrivavano le fatine e io le ho sentite..”
“Le fatine?”
Sì e ora sono con me. “
Con te dove?”
Qui con me, ora. “
Ma io non le vedo, queste fatine.”
“Sono nella mia testa, mi parlano. Ora forse vanno anche dalla mamma e dal babbo, e anche da te. “
L'infermiera aveva guardato con sorpresa la bambina che sembrava coperta, sulle manine e sul viso, di un fondotinta luccicante, ma alle sue parole sorrise e strofinò un batuffolo di cotone imbevuto d'alcol sulla pelle dell'incavo del gomito della bimba. 
Mi fai il solletico!” Rise lei. Sotto gli occhi degli adulti la pellicola luminosa, al contatto con l'alcol, si era ritratta. L'infermiera si bloccò incredula. Il medico disse “Continui, con cautela. “ L'infermiera accostò l'ago alla pelle e subito la pellicola si allontanò, poi si riavvicinò rapidamente all'ago e lo serrò in una morsa. “Dottore, non mi fa entrare!”
Dio mio!” Mormorò Sara.
Calma, restiamo calmi. -disse Paolo- Per favore, provi ancora.”
L'infermiera provò di nuovo. La pellicola di luce risalì rapidissima l'ago in superficie, superò il guanto e arrivò al polso dell'infermiera, poi lasciò la presa e lei poté fare il prelievo.
Ma che sta succedendo?” mormorò Nanni.
Sono le fatine. -Dichiarò di nuovo Gaia.- Vogliono essere sicure che non mi facciate male.“ Nanni spalancò gli occhi stupefatto.

SYM, il Parassita 4

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Nell'astanteria al piano di sotto un gruppo di persone stentava a rendersi conto di quanto era successo. Ciò che era meno comprensibile di tutta la faccenda era la dissoluzione del corpo della signora anziana che erano andati a soccorrere, perché, per il resto, poteva forse spiegarsi come un'allucinazione collettiva, chissà cosa si erano fumati quelli la notte scorsa, si chiedeva il medico del pronto soccorso, anche se avevano spergiurato di non essere sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Fra le varie spiegazioni, di fronte ad un fatto inspiegabile, è sempre quella più probabile ad essere vera. Lui non aveva mai visto un corpo dissolversi, ma di giovani strafatti al pronto soccorso dell'ospedale ne aveva visti parecchi. Comunque pareva che ci fossero delle foto, le avrebbe esaminate più tardi. Poi c'era il ragazzo che diceva di avere sentito le emozioni della vecchia signora prima che morisse, quello era proprio suonato.
Fatemi le analisi, disse il ragazzo, vedrete che non ho preso niente, che sono assolutamente sobrio.”
Gli fecero un prelievo di sangue e anche sulla sua pelle la pellicola intorno all'ago si ritirò, ma il prelievo poté essere effettuato regolarmente.
Chiamate il dottor Di Segni, assoluta precedenza a questa analisi, e portategli anche un campione della ...cenere.. direi, che è rimasta del corpo della signora. Infermiera, chiami malattie infettive, abbiamo bisogno di un paio di stanze per isolare un po' di gente, faccia venire chi è di servizio oggi, medico e caposala, ci trasferiamo tutti là, e chiamate tutti i reparti, chiedete se hanno qualcuno che presenta questa specie di membrana luminosa, svelti!” 

La notizia rapidamente si diffuse in tutto l'ospedale. Paolo guardava i due giovani che si erano rivolti a lui, spaventati ma fiduciosi. Prese una decisione. “Tornate a casa con la bambina, di corsa. E non uscite in paese, non la portate fuori, non fatela vedere a nessuno... Dio buono, Sara, cominci a luccicare anche tu … Ah, non so che fare! Ma se restate qui sottoporranno Gaia a mille analisi, possiamo aspettare per questo. Però state attenti, sapete che le persone si trasformano in mostri quando hanno paura.”
Dottore, ma se fosse contagioso?” disse Marina.
Contagioso lo è di sicuro, non vede che anche la madre luccica?” Gli scappò un risolino nervoso.
Beh, diciamo che mi prendo la responsabilità io, benché non so se faccio bene.. ma Gaia l'ho vista nascere e anche Sara, andate a casa, ragazzi, e che Dio ci aiuti, sapete che sono un miscredente, ma ci serve il suo aiuto, adesso!” Paolo aveva visto nella propria mente la piccola Gaia nelle mani voraci del dottor Benedetti, il direttore dell'ospedale. L'avrebbe rigirata come un calzino, analizzata e sbucacchiata per isolare il supposto patogeno che copriva la pelle, e proposta ai mezzi di informazione come un ghiotto boccone... per ora si poteva evitare!

Il dottor Di Segni, in laboratorio, aveva ricevuto campioni da analizzare riferiti a due situazioni diverse. Aveva due campioni di sangue, uno di Gaia e l'altro del paramedico, due campioni di polvere presa dalla pelle, uno di cenere proveniente dal dissolvimento, così almeno dicevano, del corpo dell'anziana signora. I due campioni di polvere erano palesemente uguali. Un suo collaboratore li esaminò al microscopio.
Scaglie, Guido. Tutte uguali o quasi. Sono come scaglie luminose, penso che sia in gran parte silicio, però, se avvicino la mano si muovono... non vorrei mi fraintendesse, ma sembrano vive, o sembrano rispondere alla presenza di vita vicino a loro..”
Ma che dici? E' impossibile! Potrebbero essere acari, acari luminosi..che dici di quest'ipotesi? Con quello che buttano questi matti di contadini nei campi non è di fuori che comincino ad esserci creature mutate..”
Dottore, guardi lei stesso, non ci sono zampe, né testa...niente di niente...niente che dica che si tratta di un animale che conosciamo...” Guido guardò nel microscopio e emise un'esclamazione vivace.
Walter, non avrai toccato questa roba?”
No, che dice, dottore? Mica sono scemo!”
Bene, isola questi reperti, mettine un pò sotto vuoto, e un po' nel surgelatore, vediamo come si comporta questa roba, tanto penso che di sopra, da Paolo, ci sia ancora materiale da analizzare...io vado su dal dottor Giusti...torno prima possibile.”

Nanni e Sara si avviarono nel corridoio tenendo la bambina involtata in una copertina, lei rideva e si divertiva come se fosse un gioco, ma loro erano entrambi molto preoccupati. All'uscita dell'ascensore trovarono l'infermiera Marina, con due persone della sicurezza. “Mi dispiace tanto, ma non possiamo farvi uscire... in casi del genere, con una possibile epidemia di origine sconosciuta, capite...” La donna ostentava una sicurezza e un potere che li spaventarono.
Sara la guardò con odio. “Schifosa traditrice.” disse Nanni sottovoce.
Seguitemi, per piacere, per di qua, se vuol dare a me la bambina..”
Neanche per sogno!” disse Sara.
Eppure dovrà farlo, signora, dobbiamo farle delle analisi più approfondite.- fece un risolino- Proprio come le ha detto il dottor Giusti.” Tese le braccia e tentò di strappare la bimba alla madre, ma la piccola gridò e quando l'infermiera la toccò gridò anche lei perché la bambina “pungeva”. Sembrava impossibile toccarla, tutta la superficie esposta del corpo, abiti compresi, era coperta di aghi minuscoli che ferirono le mani di Marina. 
Ma che diavolo...!”Gridò lei. “E' peggio di quanto pensassi, per di qua, per favore. Lui no.” disse indicando Nanni.
Io no? Si vedrà se potete dividerci!” 
La piccola Gaia ora piangeva e Sara le disse di controllarsi, stava facendo male anche a lei. “Scusa mammina, disse la bimba, ma ora io e le fatine abbiamo tanta paura.” 

Segregati

Paolo, Sara, Nanni e la bambina, furono rinchiusi in alcune stanze del reparto di malattie infettive, insieme all'infermiera traditrice. Dopo poco arrivarono il giovane paramedico ed altre persone, anche un'anziana donna cinese che era stata esposta alla pioggia luminosa nei dintorni del paese. La donna apparteneva alla comunità cinese, esigua, che si era stabilita in paese. La signora entrò nella stanza e Gaia si voltò verso di lei.. fu come se si riconoscessero, intorno a loro si formarono due piccole nubi luminose che si congiunsero attraverso la stanza, poi la piccola si svincolò dall'abbraccio della madre per correre incontro alla vecchia cinese. Si presero le mani e si sorrisero. Per un po' tacquero guardandosi negli occhi, poi la piccola disse “Mamma Huang!” e cominciò a parlare in una lingua che doveva essere cinese a giudicare dall'espressione estasiata della donna anziana. "Ma che dice Gaia ?” disse sottovoce Sara a Nanni, preoccupata.

Guido arrivò che ormai la porta delle stanze isolate era chiusa. Bussò al vetro e Paolo si voltò e accese l'interfono.
Guido aveva fretta di parlare con Paolo, ma aveva anche notato qualcosa di diverso nell'amico.
Paolo, ma che hai? Per un attimo ho pensato che non fossi tu!”
Perché, che ho? “ disse Paolo guardandosi addosso, cercando le tracce del contagio.
No, niente di... non so, la postura..”
Postura?” Paolo non capiva.
“Sì, anche la voce...sei allegro!”
Allegro? Sì forse...” Paolo scoppiò in una risatina.”Oh cavolo, dovrei essere molto preoccupato, in ansia, invece...ma dimmi, avete visto qualcosa al microscopio?”
Erano mesi che non eri allegro e anche la postura dice che sei rilassato...ma certo, le analisi. Questa roba è viva. Tu non ce l'hai? Non l'hai presa, non sei stato contagiato?”
No, io no, per ora. Ma mi pare quasi che questo buonumore venga da questa roba...Roba viva, dici, animaletti?”
No, no, scaglie, scaglie di materiale luminoso che si muovono verso le fonti di luce e calore, e sono più veloci verso le mani, le nostre mani che maneggiano i vetrini, come se fossero interessate alla vita!”
Madonnina, una forma di vita che non conosciamo?”
Già.” disse Guido. Si guardarono negli occhi. “Un'arma biologica?”disse Paolo.
Che ne so? Ci devo studiare.”
Anche te, però, sei di buonumore...” Osservò Paolo.
Ah- esclamò Guido- ma io lo so perché! E' questa roba, che mi eccita. Nel solito piattume una cosa così mi stimola.”
 

SYM, il Parassita 5

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Nel piazzale davanti all'ospedale atterrò un elicottero. Ne scesero dei soldati che scaricarono delle casse e un paio di uomini vestiti di nero, Entrarono nell'ingresso e l'elicottero si rialzò subito in volo. Dopo poco erano davanti al vetro delle stanze di isolamento, accompagnati da un interprete. Nel corridoio arrivò una bella donna bionda sui cinquant'anni. Avanzava a passi lunghi e decisi, ma uno della sicurezza la fermò.
Devo parlare col dottor Giusti.” disse la donna.
E' impossibile, signora.”
Come è impossibile?-tentò di sottrarsi alla mano dell'uomo che la tratteneva con decisione.
Impossibile signora, c'è un'emergenza in corso...”
Che tipo di emergenza?”disse la donna.
Si avvicinarono i due uomini in nero.

Com'è entrata questa?” Tradusse l'interprete.
Dall'ingresso principale: non ci è stato detto di chiuderlo, l'ospedale è ancora aperto, è funzionante … non possiamo certamente evacuarlo.”
L'uomo in nero guardò impassibile attraverso gli occhiali scuri. Rispose in inglese. ”Dovete farlo.”
Ma è impossibile. È l'unico ospedale in un raggio di cento chilometri, abbiamo moltissime persone ricoverate.”
Non vi rendete conto della situazione? Lei, portatela con noi.”
La donna bionda, sempre trattenuta per un braccio dall'uomo della sicurezza, arrivò davanti al vetro della stanza di isolamento e chiamò a voce alta “Paolo! Paolo!” Riuscì a battere con la mano sul vetro e Paolo si voltò.
“Tò , è arrivata la Gigliola!”
"Gigliola? - disse Sara - Ciao Gigliola !” fece salutando con la mano.
Chi è questa Gigliola?”chiese Nanni.
E' la moglie di Paolo. Ex moglie, veramente. Dai che la conosci, era anche al nostro matrimonio! Simpatica, ma un po' stramba.”
Intanto Gigliola discuteva animatamente con i due uomini in nero.
“Che succede, sono ammalati?”
Forse. Potrebbe essere un contagio pericoloso, ancora non lo sappiamo.”
Ma se vedo che stanno tutti bene!”
Una donna è morta.” disse un infermiere. E un altro:
Sì, ma era molto anziana e malata, viveva sola, pare sia caduta sulla porta di casa dopo essere uscita, nel colmo della notte, per soccorrere un gatto...”
"Questa del gatto l'ha detta quel ragazzetto che ora è nella stanza, contagiato anche lui, dice che ha sentito i pensieri della donna..”
Si comunicarono alcune informazioni davanti al vetro, e Gigliola disse agli uomini in nero: “Io comunque voglio entrare.”
Ma lei chi è?”
Sono la moglie del dottor Giusti."
Ex moglie.” disse un'infermiera.
Lei si faccia gli affari suoi. Fatemici parlare.”
Fu aperto l'interfono. 
Gigliola.”fece Paolo, come se parlasse con una bambina bizzosa.
Paolo...” La donna piangeva. “E' vero che siete tutti contagiati?”
Forse. Ancora non ci ho capito niente. Ma stiamo bene. C'è Sara, vedi? E Nanni, suo marito, e la bambina. “
Ciao.. -fece Gigliola con la mano-Cos'è quella roba luccicante?”
E' quello il contagio.” Sorrise Paolo.
Ma dicono che una donna è morta ..”
Non è solo morta, si è dissolto il...” disse Marchino lì accanto.
L'interfono fu spento immediatamente.
Voglio sentire cosa mi sta dicendo mio marito!”Notizie riservate.” tradusse l'interprete.
Riservate un corno! Io chiamo la stampa! Ho qui il mio cellulare! Faccio venire i giornalisti...”
L'uomo in nero fece un segnale, e l'altro uomo in nero, veloce, le strappò di mano il telefono, aprì la porta dell'anticamera e la spinse dentro con gli altri.
Almeno una cosina l'abbiamo risolta.” Disse l'uomo in nero in inglese. Paolo da dentro aveva visto che succedeva e faceva no, con forza, con la mano, ma non poté impedire che sua moglie fosse introdotta nella stanza.
Ecco, come al solito! Non ne potevi fare a meno?”
Di far che?” piangeva Gigliola.
Di fare il solito casino! -disse Paolo sottovoce- Se c'è un vero rischio, e ti assicuro che ci sono parecchie cose perturbanti in questa faccenda, almeno nostra figlia avrebbe avuto te, per quanto non so se sia un vantaggio nella vita, invece eccoti qua..”
Perché, che ci succederà?” piagnucolò Gigliola.
Paolo abbassò la voce “Se viene fuori che si tratta di un contagio sconosciuto può saltargli in mente di eliminarci tutti...”
Ma no!-lei tirò su col naso, mentre cercava un fazzoletto nella borsa.- Non ce l'avranno il coraggio. Mica siamo in un film americano, siamo in Italia, nella provincia toscana!”
Dove credi che prendano le idee quelli che scrivono i film, dalla realtà, evidentemente...” Sara si era avvicinata ed abbracciò Gigliola. Si salutarono con affetto e Sara riuscì a strappare Gaia alla signora cinese per farla vedere a Gigliola. 
“Ma come è cresciuta! E come siete carine con quel brilluccichio addosso!” 
Si guardò le mani e vide che stava cominciando a brillare anche lei. “Oddio, Paolo, guarda qua! Sto cominciando a brillare...ma non fa male! E come mai te non luccichi?”
 "E che vuoi che ne sappia! Se lo sapessi avremmo fatto un passo avanti! Bisogna affrontare la cosa con un po' di razionalità, ma ora sei arrivata te e perdo del tutto la speranza, in questo senso...”
Ma Paolo, sono venuta appena ho saputo e ora te mi tratti così... mi sono accorta che il solo posto dove volevo essere era proprio qui con te e mi tratti in questo modo...” Paolo sorrise scuotendo il capo. 
“Va bene, ora calmati, lasciami parlare con questa gente vestita di nero.”
Gli uomini in nero erano due, uno biondo con i capelli molto corti e uno con i capelli scuri e ricci. Tutti e due con gli occhiali scuri. Quello biondo accese di nuovo l'interfono. “ Lei è il dottor Paolo Giusti.- era un'affermazione, e l'interprete tradusse- Faccia andare tutti gli altri nell'altra stanza per favore, lasci la porta aperta per controllare, grazie.”
Paolo eseguì rassicurando tutti e tornò davanti all'interfono.
Siamo di fronte, dottore, ad una situazione che non comprendiamo e dobbiamo studiare. Abbiamo qua un medico specializzato nella gestione di queste crisi...( si avvicinò un uomo alto vestito di una tuta bianca e salutò con un cenno del capo) il dottor Smith. Credo che avremo bisogno di esaminare alcuni soggetti, almeno quelli che hanno avuto contatto per primi col contagio sconosciuto. Per la verità dovremmo fare delle biopsie..”
No! Non sulla bambina, iniziate almeno dagli adulti informati! Ma non potete lasciare che passi semplicemente un po' di tempo per vedere come si sviluppano le cose? Mi pare che evolva rapidamente... La bambina e la donna cinese, per esempio, stanno comunicando in un modo che non ho mai visto, sembra telepatia...” 
L'uomo di là dal vetro ebbe un sussulto.
 My God... -disse- lei, dottore, non è al corrente, ma ci sono molti altri casi sul pianeta e non sappiamo quanti siano sfuggiti al nostro controllo, pensi solo ai deserti dell'Asia o a certe zone dell'Amazzonia...Potrebbe essere un parassita che ha delle strategie per insediarsi, anche gradevoli per l'ospite e poi se ne impadronisce e lo uccide o lo annienta... capisce il rischio?”
Sì- disse Paolo ironico- l'invasione degli ultracorpi.”
L'interprete imbarazzata non sapeva come tradurre. “Un vecchio film di fantascienza - disse Paolo- Ma, per pura praticità, potreste dirmi i vostri nomi?”
Certo, mi scusi, sono l'agente Ford, Alan Ford.”
Paolo restò un attimo spiazzato e gli venne da ridere. “Alan Ford? Ma è vero?”
Certo, che ci trova di strano?-disse il giovane impassibile dietro le lenti scure.
E' il nome di un personaggio dei fumetti della mia giovinezza... che stramberia, questa cosa ha degli aspetti davvero comici...e l'altro chi é, James Bond, magari?”
Non, je m'appelle Louis de Funes.”
No. Non ci credo. Era un comico francese, Louis De Funes. Ditemi che sto sognando. Mi faceva ridere come un matto.”
I due lo guardarono come se parlasse una sconosciuta lingua galattica.
Intanto Gigliola, silenziosa, gli era venuta vicino. “I signori chi sono?” chiese.
Ti presento Alan Ford e Louis De Funes.”
Gigliola restò un attimo sospesa, come se non avesse capito bene, poi fece un gesto con la mano per indicare il passato dietro le proprie spalle. 
“Ma Alan Ford non era un fumetto di Bonvi, quello delle Sturmtruppen? E Louis De Funes quell'omino indiavolato, quel comico francese, che faceva morir dal ridere?...” 
Già, proprio loro...” 
Per l'interprete era difficile tradurre la conversazione. Ora però i due giovani agenti avevano ricevuto una mail e chiesero silenzio, facendo segno con la mano che avrebbero continuato a parlare più tardi. 
Intanto Gaia e la signora cinese avevano cominciato a ridere. Ridevano come matte e il loro riso era contagioso più della polvere luccicante. Gaia si fermò, diventò seria e fece segno a mamma Huang di guardare il palmo della sua manina. Sopra di esso la polvere luminosa si raggrumò e poi si espanse. La bambina aveva lo sguardo concentrato di chi fa un lavoro difficile. La polvere aveva perso il suo colore e sembrava sabbia, ed ora stava assumendo una forma. Una lumachina, un pochino storta, come disegnata col lapis da una bambina. Gaia la mostrò a mamma Huang che battè le mani eccitata. Poi Gaia fece gonfiare la lumachina ed essa esplose in una nuvolina di polvere di nuovo luminosa. Ora toccava alla vecchia cinese. Aprì il palmo della mano rugosa e la polvere si riunì nella figura di un gatto con lunghe vibrisse. La donna si concentrò molto e il gatto aprì la bocca per miagolare, senza che ne uscisse alcun suono, mosse le vibrisse e la coda, poi si espanse e svanì. Tutti intorno battevano le mani, estasiati. Il dottor Giusti tornò verso il vetro, picchiò con la mano per attirare l'attenzione e indicò quello che stava accadendo. I due giovani mollarono il computer e restarono a guardare con le bocche spalancate. Ora anche il paramedico, Marchino, stava provando a far apparire qualcosa. Sul pavimento apparve un cane, lui disse che era Lampo, il cane del nonno, che scodinzolava felice. Dopo un po' tutti provavano il nuovo gioco, ridevano e saltavano per la stanza fra molte figure effimere di polvere che si formavano fra di loro.Il dottor Benci, che non era contagiato e non era capace di partecipare al gioco, si godeva molto lo spettacolo. La signora Huang fece apparire un grosso drago, animale totem cinese, che volò attraverso la stanza prima di scoppiare, poi, presa come da un raptus, fece apparire una creatura inimmaginabile, con corna e squame, alta sugli arti inferiori, ma quando la vide fu colta da una gran paura, un vero terrore e corse a pararsi, come per proteggerla, di fronte alla piccola Gaia che si divertiva un mondo. La creatura di sabbia da lei stessa concepita avanzò verso di loro, lei gridò e cadde a terra. Tutta la polvere tornò polvere e cadde sul pavimento, poi tornò ad alzarsi e a luccicare debolmente. Tutti nella stanza corsero verso mamma Huang, compreso Paolo, che fece allontanare gli altri. Gaia, spaventata, gridava “Mamma Huang, Mamma Huang!” Paolo fece largo intorno alla donna, si chinò su di lei e gli ci volle un attimo a capire che il cuore si era fermato. Immediatamente tentò di rianimarla. Intanto fuori si discuteva, il dottor Smith gesticolava e i due uomini in nero scuotevano il capo. Paolo fece a lungo il massaggio cardiaco, poi si arrese.
La signora è morta ..” disse Paolo affaticato.
Gigliola disse “Lo so. Non chiedermi come. Un infarto. Per la paura. L'ha spaventata quella figura, credo che non venisse da lei, ma fosse... un ricordo della polvere... Lei è morta per difendere noi e la piccola...” Gigliola di nuovo piangeva. 
Che significa un ricordo della polvere?” chiese Paolo.
I due agenti però, di là dal vetro, erano in grande agitazione e fecero segno a Paolo di avvicinarsi. Paolo disse “ E' morta.”
Un'altra vittima della polvere.”
Non direi, mia moglie dice che ha avuto paura, un infarto. Comunque avevate bisogno di un cadavere.. ora ce l'avete.”
Tutti nella stanza erano affranti e spaventati. I due agenti, fuori, concordavano col medico come trasportare all'esterno delle stanze di isolamento il cadavere di mamma Huang, che però non si era dissolto, come era accaduto per la donna morta nel bosco, ma restava un normale cadavere e continuava a luccicare debolmente. Paolo pensò che nella disgrazia erano stati fortunati: c'era davvero bisogno di capirci di più in questa faccenda e l'esame di un cadavere era un'occasione irripetibile...finché non fosse venuto in mente a qualcuno di eliminarli. 
C'era una camera stagna prima del reparto di isolamento e lì fu messo il corpo dell'anziana signora, in un sacco di plastica. Alla fine si decise che era meglio fare l'autopsia nelle stanze isolate e per questo entrò il dottor Smith, il medico specializzato, con una tuta speciale e gli strumenti necessari, e chiese a Paolo e all'altro medico presente di assisterlo. Fecero spostare di nuovo gli altri in un altro locale adiacente e si occuparono della signora Huang.
 

SYM, il Parassita 6

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Arriva Giulia e si inizia a districare la matassa


L'anatomopatologo parlava italiano abbastanza bene e fece parecchie osservazioni che Paolo dovette scrivere. Incise la carne con un bisturi, osservando che c'era qualcosa di diverso dal solito, la pelle opponeva una nuova resistenza e sembrava di tagliare della seta molto spessa. Appena inciso il tessuto dell'addome fu chiaro che la polvere, che pareva avesse fatto tutt'uno con la pelle, era penetrata all'interno del corpo e aveva cominciato a diffondersi in sottili filamenti luminosi. Non era più solo polvere, disse Paolo preoccupato, si comportava proprio come un parassita. L'altro medico esaminò gli organi interni e in particolare il cuore. Fu impressionante vedere che il cuore della vecchia signora, che mostrava chiaramente i segni della necrosi, era stato in parte riparato dalla polvere, cioè dai filamenti da essa prodotti. Doveva essere avvenuto prima dell'infarto, e poi c'era stata quella grossa paura che aveva interrotto la riparazione...
Sembra, disse il patologo, che questo parassita abbia cercato di far sopravvivere il proprio ospite...”
Paolo non aveva a che fare con i cadaveri, per il suo lavoro, e non era un chirurgo, quindi tutta la procedura dell'autopsia l'aveva piuttosto turbato, ma era necessario che desse una mano.Quando ebbero finito, e il dottor Smith fu uscito dalla stanza e si fu liberato dalla tuta, si trovarono tutti insieme davanti all'interfono. Ma l'interprete non c'era.
Dov'è finita la ragazza?” chiesero sia Paolo che Alan Ford, dalle due parti del vetro.
Un uomo della sicurezza disse: “ Ha ceduto.”
Che vuol dire ha ceduto?”
Si è impaurita, con la morte della vecchietta. Non se la sente più di continuare, per ora è di sotto, in medicina, in stato di shock. Hei! Non è mica uno scherzo vedere morire una persona in diretta! Con tutta quella messa in scena! Anche a me, devo dire, ha fatto una certa impressione...”
I due agenti speciali non riuscivano a seguire il discorso, tutto in italiano.
Nel corridoio avanzò correndo una figurina familiare. Paolo la riconobbe e gli si allargò il cuore, ma subito si preoccupò, pensando al rischio che correva.
Babbino!” esclamò piangendo sua figlia Giulia, una bella ragazza di ventinove anni.
Giulia, cocca, come mai sei venuta?”
Babbino, mi hanno licenziata...”
Dal call center? Te l'avevo detto che non ti ci dovevi confondere...”
Ma mica piango per quello, che vuoi che me ne freghi di quegli stronzi! Ho sentito alla radio che c'è un'emergenza e hanno fatto il tuo nome..” piangeva a dirotto.
Di fianco a Paolo arrivò anche Gigliola.
Mamma! Ci sei anche te? O che succede?”
Cocca -disse Paolo- sarebbe meglio che te ne andassi subito da qui, c'è un rischio reale di epidemia.”
Epidemia?”
Sì, ora non ti posso spiegare, e meno ne sai meglio è, così ti lasceranno andare senza problemi, vai ora, ti prego...”
“Sì Giulia, ti prego anch'io, vai a casa, e stai chiusa lì, vedrai che ti daranno nostre notizie ..” disse Gigliola. 
Sottovoce disse a Paolo “Quanti anni sono che non ti chiama babbino?” “Dalla quarta elementare, mi pare.”
Alan Ford chiese in inglese “Ma questa chi diavolo è?”
Giulia era laureata in lingue. Si voltò verso di lui e gli disse, anche lei in inglese: “Sia più educato, per piacere. Sono la loro figlia.”
Lei capisce la mia lingua?”
Evidentemente.”
Et le français aussi ?” disse Louis De Funes.
Certainement.”
Nous avons trouvé l'interpréte. Voilà.”
Paolo aveva capito bene e disse: “No, assolutamente no!”
Giulia invece disse che sì, lo poteva fare, si tolse il cappotto, tirò fuori dalla borsa un blocco di carta, una penna, un vocabolario piccolissimo e il suo portatile.
Englais?” chiese Louis accennando al vocabolario.
Oui, mais pour le français ce n'est pas necessaire.” 
Très bien, très bien..” fece il giovane fregandosi le mani.
Mettiamoci al lavoro.” disse Alan e si tolse finalmente gli occhiali da sole. Aveva dei bellissimi occhi azzurri e senza occhiali scuri il suo aspetto era molto meno minaccioso. Si tolse anche la giacca nera e si infilò un maglione, trovato in una delle sue borse. Anche Louis si cambiò e si mise abiti più comodi.
Paolo pensò che quanto a testardaggine aveva preso tutto da Gigliola, quella figliola. E via, se dovevano morire, alla fine sarebbero morti insieme. Ma non lo disse a Gigliola. Bisognava trovare il verso di non rimetterci le penne. Nel corridoio arrivò un'altra figura familiare. Paolo salutò con la mano la caposala di pediatria, Cristina, la sua collaboratrice preferita. Era una donna robusta e materna, e aveva con sé tre ragazzini, piccoli pazienti di Paolo. Cristina e uno dei bambini spingevano due carrozzine, su cui stavano gli altri due. Uno, dalla pelle scura, era senza capelli per le terapie che stava seguendo, uno aveva una gamba ingessata, uno, che sembrava cinese, era quasi verdastro, pallidissimo per un'anemia. Paolo li salutò con la mano.
Dottore, in questa confusione non sapevamo dove fosse finito.. poi ce l'hanno detto e eccoci qua... questi tre la cercano da stamattina presto...” I bambini parlarono con Paolo affettuosamente. Intanto Cristina scambiava qualche parola con Gigliola. Era incredibile, per Paolo, che fra quelle donne diversissime ci fosse una tale simpatia. “Che si dice là fuori, Cristina?”
Oh! Prima hanno detto che c'era questa polvere che si attaccava alla pelle, come una malattia pericolosa, che pare sia scesa dal cielo, poi però hanno smentito tutto. Hanno detto che era stato un grosso equivoco causato da sostanze stupefacenti assunte dai paramedici del pronto soccorso, come quella volta, tempo fa, si ricorda, dottore, quando qualcuno aveva avuto delle allucinazioni...comunque il dottor Di Segni mente benissimo!” 
Paolo rise: “Davvero?”
Certo! Ha messo in campo tutto il suo prestigio per nascondere la verità, ha sbandierato delle analisi del sangue, ha giurato e spergiurato...è si è divertito tantissimo..”
E lei, Cristina, come fa ad avere le giuste informazioni?”
Ah, io ho i miei canali, lo sa anche lei!” 
Alan Ford e Louis De Funes osservavano la scena come se tutti gli altri fossero fuori di testa. Alan osservò sottovoce: ”Questi non hanno ancora capito che il mondo intero è in pericolo.”

Il Parassita 7

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Di lei mi posso fidare, Cristina." disse Paolo alla sua caposala."Posso assegnarle alcune incombenze?"
Tutto quello che vuole, dottore.” disse Cristina che cominciava a commuoversi anche lei.
Su, su, mia cara, ho bisogno di lei, ora. Sara! Sara !” chiamò Paolo ad alta voce. Subito arrivarono Sara, Gaia e Nanni.
Che mi dicevate del cane?...”
Se non è troppo disturbo bisognerebbe telefonare ai miei – disse Sara- perché vadano a casa a dar da mangiare a Rambo ( Rambo era il cane) e alle galline... Rambo da solo ci sta malvolentieri.. e siamo usciti di corsa ... potrebbe dire alla mamma che stiamo bene? ” Erano stati ritirati tutti i telefonini.
Certo, prendo appunti.” Disse Cristina. Giulia le passò un foglio e una penna. Si accordarono e Cristina chiese se c'era altro. 
Sì, Cristina. Cibo, siamo senza mangiare da parecchie ore, ormai. Strano che non abbiamo fame! Avete fame voialtri? “
Tutti dissero che cominciavano solo ora ad avvertire un certo appetito.
Insomma Cristina, se non ci considerate appestati in punto di morte, ma gente che deve essere normalmente nutrita ci fa piacere.. e soprattutto niente panini! ”
“Ma che dice dottore!” -disse Cristina tirando su col naso - “Vado subito nelle cucine a fargli un risciacquone!”


Alan e Louis osservavano la scena irritati. Alan disse “ Non c'è verso di concludere qualcosa, siamo proprio in Italia...”
Voleva lasciarli senza mangiare?”disse Giulia gelida.
Alan la ignorò. Se siete comodi facciamo il punto della situazione, o qualcuno deve fare pipì?”
Si guardò intorno: “Bene, riassumiamo.
A) nella notte fra il 20 e il 21 dicembre è caduta dal cielo una pioggia di particelle luminose
B) alcuni individui, pochi per fortuna, ci sono venuti a contatto: Gaia, la bambina qui presente, una vecchia cinese di età indefinibile, un'altra anziana donna, questa qui italiana, che ha chiamato soccorso, sentendosi male, ma non sappiamo se il suo malessere sia stato causato dalla polvere o se già lei si trovasse in difficoltà, fatto sta che quando sono arrivati i soccorritori la donna era coperta di una corazza dura e calda, come uno strato di terra rappresa, che le permetteva di respirare. Abbiamo delle foto fatte da quel ragazzo laggiù, tale Marco... Cecchini,- lesse da un foglio- fatele vedere al dottor Giusti e al dottor Benci, prego.”
Giulia girò verso di loro lo schermo del computer. Le foto erano impressionanti. 
C) Caricata in ambulanza la corazza si è riformata sulla barella, si è modificata e poi è esplosa, o qualcosa del genere. Giornata di esplosioni di polvere, questa, mi pare. A quel punto supponiamo che la signora fosse morta. Il cadavere però è scomparso, lasciando solo una traccia di cenere. Analizzata in effetti è ...cenere. Come risulta dalle analisi.
D)Questa mattina, alcune ore fa, i genitori di Gaia l'hanno portata qua in ospedale, per far vedere al suo pediatra, (indicò il dottor Giusti) la luminosità della pelle e la bambina ha modificato la superficie del suo corpo, anche degli abiti, se non sbaglio, o così sembrava... pungeva? E l'infermiera è rimasta ferita superficialmente...”
Paolo chiamò Marina. Lei arrivò con un'aria mortificata, priva della baldanza arrogante di qualche ora prima. Raccontò cosa era successo, anche riguardo alla difficoltà di effettuare il prelievo di sangue. 
“E' successo anche a me!” Confermò Marchino.
Alan prese appunti e consultò l'elenco. 
“In seguito abbiamo avuto lo show di figure di polvere fra tutti voi. Vi siete divertiti, là dentro? Ne sono contento. Poi è morta la vecchia cinese. Dimenticavo che la bambina pare parlasse cinese...Roba da matti, se qualcuno ci trova un senso lo pago.”
Paolo disse: “Dimentica l'autopsia. E' evidente che questa forma di vita è entrata in profondità nel corpo della signora Huang, fino a riparare il suo cuore, prima dell'infarto, poi c'è stato quel terribile spavento e lei è morta nonostante le riparazioni, che erano appena iniziate... Abbiamo trovato filamenti luminosi negli organi interni, come l'inizio di una mutazione.” Tutti intorno rabbrividirono. Paolo continuò.
Nel frattempo se non sbaglio sono arrivati i risultati dell'analisi del sangue, perché vedo laggiù il mio caro amico dottor Di Segni... Supponiamo che si tratti davvero di una forma di vita sconosciuta, un parassita che vuol far sopravvivere l'ospite … forse dovremmo davvero aspettare degli sviluppi...”
Louis disse : “Aspettare gli sviluppi non dipende da noi, dottore. Se fosse dipeso da noi avremmo già in mano i piani per l'eliminazione totale. Il dottor Smith sta studiando il modo più efficace, trattandosi di una polvere viva e in qualche modo intelligente, di pianificare la distruzione evitando di diffonderla, altrimenti il nostro sacrificio sarebbe inutile...”
Giulia tradusse, ma si interruppe e disse “ Nostro? “
Certamente signorina. Come quando si affronta un cancro, bisogna essere certi di aver sterminato fino all'ultima cellula. Di solito si elimina molta roba sana.”
Giulia sbiancò. Tutti quelli che erano chiusi nella stanze isolate si guardarono; Marina piangeva a dirotto, e, insieme a Paolo e al medico del pronto soccorso, erano i soli a non mostrare traccia del contagio; gli altri erano molto sereni, non rassegnati, ma sereni.
Paolo disse : “Credo che questo parassita abbia un'azione sul sistema nervoso, troppa calma, qua dentro. Anche io ne ho avvertito gli...ehm...effetti. Perfino mia moglie sembra un'altra persona! Ora che mi ricordo, anni fa, in occasione di una guerra, gli americani avevano creato in laboratorio una polvere intelligente, dotata di microsensori, che cadeva dagli aerei sui paesi e rimandava moltissime informazioni...“
Sì, ci abbiamo avuto a che fare.” Disse Louis. “Ma non è il nostro caso. Siamo in contatto con un laboratorio statunitense, l'hanno esaminata, questa polvere è una cosa molto più raffinata, un organismo che prende vita e si risveglia a contatto con un altro essere vivente... come una spora, direi.
Guardate, pare sia arrivata la vostra cena...mangiate in pace, spero ci sia qualcosa anche per noi, le nostre razioni speciali sterilizzate non sono più necessarie, ormai siamo tutti nella stessa barca. Sinceramente poi, hanno un sapore schifoso.” 
Alan alzò gli occhi dal computer e disse : “ ...e dottore, quanto alle decisioni, aspettiamo solo il via libera degli altri governi, poi, purtroppo...” Il resto si capiva anche troppo bene.
Era già tardo pomeriggio ed erano tutti stanchissimi. Cristina si occupò di introdurre il carrello del cibo e si fermò a parlare con Paolo.
Che succede, Cristina?”
La caposala aveva recuperato il suo sangue freddo. “Oh beh, dottore, malattie infettive è stata isolata del tutto, adesso. Sì, capisco che non dovevano far entrare sua moglie e sua figlia, ma ormai è andata così... la notizia ufficiale è che c'è stato un guasto tecnico e che lei, dottore, è rimasto chiuso qua dentro con alcuni pazienti... Non so chi ci abbia creduto veramente, e qualcuno deve aver diffuso le notizie reali col cellulare...- indicò con gli occhi Marina- prima che glielo ritirassero. Diciamo che in paese c'è un po' di confusione e si fanno molte ipotesi...per ora non ci sono giornalisti e ficcanaso. Da quello che so, ma ora glielo dirà il dottor Di Segni, credo la polvere si diffonda, ma non su tutti.. sembra ci sia un qualche criterio di selezione dei contagiati, per ora incomprensibile. Mi dispiace tanto, dottore, che ci sia capitato in mezzo lei, era già così stanco per il lavoro della notte scorsa...”
Questo è sacrosanto, Cristina, credo proprio che appena mangiato mi sdraierò ... le raccomando di tenere gli occhi aperti, e, se lei va a casa, di attivare qualcun altro sveglio, del nostro reparto.” Credo che stanotte mi trattengano qui. Credo anche che vogliano usare persone che conoscano già la situazione, per non diffondere ancora di più le notizie e l'eventuale paura...non tanto eventuale. Lei che pensa, dottore?”
Non ho ancora avuto un attimo per riflettere con calma... però ci guardi, stiamo tutti bene, e questo non può essere un cattivo segno; certo la situazione potrebbe precipitare, non ci rimane che stare a vedere... ora vado a mangiare qualcosa, mi promette di tenere gli occhi aperti e raccontarmi le novità, domani?” Se ci sarà un domani, pensò Paolo.
Conti su di me. Buonanotte.”
Guido Di Segni finora aveva parlato con Alan e Louis, con la traduzione di Giulia.
Allora, Paolo?”
Siamo qua, chiusi come appestati. Che mi dici?” 
Ti dico che questa cosa si diffonde ma senza aggressività, cioè credo che anche se vi lasciassimo uscire non si sposterebbe da voi se non con un contatto fisico, delle mani, della pelle. E anche in quel caso non tutti la prendono. Come te.- Paolo annuì- Respirarla non causa necessariamente il contagio, se di contagio si tratta. Infatti Marco l'ha presa, ma il dottor Benci del pronto soccorso, che era con lui, e ora è lì con voi, lui non ce l'ha. Per ora. E' chiaro che vi dobbiamo osservare, e tu hai un ruolo importante, con l'altro medico e l'infermiera. Per quel che riguarda il sangue, non so dirti perché, ma il sangue prelevato ai contagiati è perlaceo, come se la luminosità vi si fosse diffusa.Ma non ci sono corpuscoli nuovi ...ci stiamo studiando. Questi due -indicò Alan e Luois- ci hanno messo in contatto con dei laboratori di cui ignoravo l'esistenza... ti dico la verità, se non fosse una cosa ignota e quindi potenzialmente pericolosa, sarebbe veramente interessante lavorarci. Interessante, perfino eccitante. Sai come la penso. Mi dispiace da morire di non essere stato presente all'autopsia, potevate chiamarmi!”
Ma Guido, non mi è passato per la testa! Tutto si sta svolgendo così rapidamente!”
Se lo dici te. Ora torno di sotto, nella Tana, per analizzare i reperti dell'autopsia col dottor Smith, ti saluto, riposati, ci servi sveglio, domani, te e il dottor Benci, e al massimo delle vostre facoltà.” Paolo lo salutò con un cenno della mano. Mangiarono, si lavarono nei bagni dell'ospedale e sistemarono i letti per la notte. Non c'era televisione ed erano tutti molto stanchi, ma anche eccitati per le novità e chiacchierarono a lungo. C'erano abbastanza letti per tutti e Paolo e Gigliola poterono prendere una stanza per sé. Paolo era più stanco di tutti, non sapeva nemmeno dire da quante ore non dormiva. Chiuse la porta e si sdraiò sul letto, ma le cose accadute gli tornavano in mente e gli impedivano di rilassarsi. Secondo l'idea che gli frullava in testa, da un momento all'altro, se si trattava di un parassita, avrebbe dovuto esserci una crisi, di che genere non sapeva, ma la malattia doveva manifestarsi prima o poi con violenza. Come fa la malaria, per esempio. Gigliola si stava ancora occupando, insieme a Marina, di ritirare i piatti nel carrello e di rassicurare gli altri. Paolo pensava che se non ci fossero state con lui Gigliola e Giulia forse non gli sarebbe importato di esser lì. Si sentiva stanco e confuso, troppe emozioni assorbite in poche ore. Doveva dormire.
In quella situazione di fine del mondo, almeno per loro, gli tornò in mente la profezia Maya. Era oggi il giorno della fine annunciata, eppure il sole era tramontato e non era finito niente, il mondo era ancora lì. Ma si sorprese a pensare che forse era il Parassita, la fine di tutto. La fine del mondo come l'avevano pensato fino ad ora e forse davvero la fine della razza umana. In ogni modo, se i due agenti avevano ragione, lui stesso sarebbe morto nella notte o al più tardi domattina. Molte cose si ridimensionavano, in quest'ottica. Invece di avere paura, al pensiero di una fine imminente provò un senso di leggerezza e abbandono e finalmente si rilassò e si addormentò profondamente. 

Un secchio d'aria

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 Oggi mi è tornato in mente un racconto di fantascienza che si intitola "Un secchio d'aria", di Fritz Leiber. Letto da bambina mi aveva veramente affascinato.Ve lo racconto come me lo ricordo, considerando che questa volta meno che altre volte si tratta di una recensione, ma solo di ciò che mi rimane di "utile", da questa narrazione, a distanza di tantissimi anni. 
Immaginate che il pianeta Terra, per il passaggio di un astro oscuro nel sistema solare, sia stato trascinato oltre l'orbita di Plutone e si sia raffreddato così tanto che i gas che compongono l'atmosfera si sono solidificati e sono precipitati in strati distinti sulla superficie. La famiglia di uno scienziato composta di padre, madre e due bambini si è salvata e si è creata un rifugio in profondità sotto il ghiaccio, dove si scaldano tenendo un fuoco sempre acceso. Hanno una radio e cercano di trovare un contatto con eventuali superstiti. Intanto sopravvivono e il racconto ha per protagonista il bambino che descrive la propria vita di ogni giorno in un mondo completamente mutato in cui mancano cose essenziali di cui forse non riusciremmo a fare a meno, tipo la luce del sole e uno spazio privato, ma l'aria non manca, perché si può andare per lunghi cunicoli fino quasi alla superficie a raccoglierne un secchio, che si scioglierà nell'ambiente tiepido del rifugio. Un secchio di ossigeno solido per sopravvivere. 
Il tema sembra opprimente e angosciante, ma il racconto non lo è, intanto perché finisce bene: la famiglia trova, o meglio  viene trovata, dagli abitanti della città di Los Alamos, dove i superstiti della immane catastrofe hanno rifondato la città avvalendosi dell'energia atomica.  Possono così cominciare una nuova vita. Tutta la storia viene raccontata dal bambino come una storia d'amore per la vita difficilissima che gli è toccata in sorte. Tanto che alla fine gli riuscirà penoso lasciare il rifugio, che resterà comunque aperto come una specie di museo testimonianza per il futuro. 
Quando ero ragazzina mi piaceva l'idea di quella vita estrema, quasi un campeggio obbligato in un luogo molto ostile. Ai bambini piacciono le difficoltà quando ci sono le figure rassicuranti del babbo e della mamma a risolvere le cose per loro. Una vita dura si può affrontare se ci sono buone guide e affetti sicuri.
Il babbo è uno scienziato e il sapere, in un posto così difficile , non è solo utile, ma indispensabile. 
Non c'è più quasi nulla sulla Terra che somigli a ciò che esisteva prima: restano solo la conoscenza, il metodo, e la famiglia, e per questo non si perde la speranza. 

In questi tempi di crisi tutte le cose diventano più difficili: per qualcuno moltissimo più difficili, per altri non tanto, anche solo un pò. Per noi che abbiamo "una certa età" queste difficoltà non sono intollerabili; nella nostra gioventù, benché fossero gli anni dell'abbondanza, abbiamo vissuto in un modo più semplice e spartano, i nostri divertimenti erano poco costosi, ricordo le camminate, la domenica, per arrivare fino alla nostra casa di campagna, che era ancora da ristrutturare: accendevamo il camino, cuocevamo le salsicce alla griglia, ben vestiti perché il camino scaldava solo la parte esposta...ci divertivamo tanto con poco! Oggi mi pare che si faccia fatica perfino a divertirsi, e tanti ricorrono agli stimoli artificiali...ma divertirsi per molti è l'ultimo dei pensieri, in una vita in cui a volte è difficile perfino procurarsi il cibo o scaldarsi.
 Da qui in poi rischio di scrivere un monte di banalità: invito a leggere "Un secchio d'aria", sull'essenziale e sulla speranza.




SYM, il Parassita 8

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Questa è una puntata interlocutoria (si dirà così?), lunga, ma che ci serve per capire qualcosa in più dei personaggi. Forzerà il vostro scarso interesse. Però alla fine arrivano i cinesi.

22 dicembre


Paolo si svegliò la mattina del giorno dopo, il 22 dicembre, e si sentiva riposato e molto più lucido. Sua moglie dormiva nel letto accanto al suo e sulla pelle scoperta delle mani, del viso e delle gambe si vedeva quella lieve luminosità. A vederla così non sembrava affatto una cosa pericolosa. Riconosceva quello stato d'animo, era lo stesso dei primi malati di HIV, che tendevano a sottovalutare o ad ignorare i sintomi finché non erano veramente gravi. Si disse che era inutile prenderla così, si doveva reagire e fare tutto il possibile per non cadere preda della paura, lui e gli altri. Lasciò dormire sua moglie e se ne andò prima in bagno, poi nella stanza dell'interfono. Non c'era nessuno, i computer erano accesi e le sedie spostate come se qualcuno le avesse occupate solo poco prima. Vide arrivare sua figlia, aveva addosso il cappotto, portava un borsone e aveva un'aria decisa. Decisa e felice. Felice? Si domandò Paolo. Accanto a lei camminava Alan e parlavano fitto fra loro. Vide Paolo, sorrise e affrettò il passo. Posò il borsone sulla sua sedia e accese l'interfono. “Babbo! Sei già sveglio?”
Certo, sono le sette e mezzo! Ho dormito quasi 10 ore!”
Bene! Noi abbiamo dormito molto meno. Louis è fuori a telefonare in privato alla moglie, a Parigi. Sta tentando di prepararla a quello che accadrà senza darle troppe informazioni... Abbiamo fatto i turni durante la notte per stare in contatto con i laboratori che si occupano di questa cosa e con i vari uffici governativi. A proposito, in Italia siete, cioè siamo, gli unici. Alan, dopo aver parlato con Guido Di Segni, mi ha permesso di andare a prendervi dei vestiti di ricambio. La mamma di Sara ha cucinato una torta per la colazione, quella donna è tenerissima, ha preparato qualche gioco per Gaia, ora ti passo tutto nella camera stagna, e guarda, arriva Alan con il caffè."
Benedetta figliola, pensò Paolo, è proprio in gamba. Giulia aveva lavorato come ricercatrice all'Università per alcuni anni, poi non le avevano rinnovato il contratto, per la crisi. Era una ragazza di valore, ma finora si era vista passare avanti gente ammanigliata in vario modo. Aveva accettato i lavori più umili e meno gratificanti e l'ultimo era stato in quel dannato call center. Era stato difficile anche per Paolo tutelarsi nel lavoro, perfino quelli della sua stessa idea politica non lo sopportavano per la sua insofferenza al clientelismo e la sua autonomia, non aveva mai voluto aderire alla massoneria e non era proprio adatto per raccomandare la propria figlia o aiutarla in un modo qualunque. Giulia stava perdendo la fiducia in se stessa, nelle cose in generale, ma in questo frangente non servivano raccomandazioni e mostrava i suoi talenti. Aveva rapidamente recuperato la sua sicurezza. Basta così poco, pensò Paolo, basta darle l'occasione di lavorare per vederla tornare se stessa... Ormai tutte le novità arrivavano dal corridoio, infatti arrivò un infermiere di pediatria col carrello della colazione, lo salutò con la mano e con un enorme sorriso. Poi cambiò espressione, doveva aver sentito una voce alle proprie spalle. Scosse la testa, fece una faccia disgustata e indicò col pollice qualcuno, dietro di sé, che stava arrivando e protestava vivamente: era il dottor Benedetti, direttore dell'ospedale. Arrivò all'interfono e gridò, come se la sua voce dovesse oltrepassare il vetro :”Oh dottor Giusti, che mi combina!”
Dottor Benedetti, l'interfono è acceso e io non sono sordo, parli più piano!”
Quando c'è un casino c'è sempre lei nel mezzo!”
Ma di che parla?”
Che avete combinato, che guasto avete provocato per rimanere chiusi lì dentro?”
Ma che cavolo??...” esclamò Paolo, disposto subito ad arrabbiarsi, mentre sua figlia e Alan, dietro le spalle del dottor Benedetti, gli facevano segno di no con le mani e Alan spense l'interfono. Paolo fu sollevato di non dover parlare con quel pallone pieno d'aria e vide che Giulia e Alan, gentilmente, ma con fermezza, lo riaccompagnavano all'ingresso dandogli poche spiegazioni. Il Benedetti ancora smanettava e protestava, ma Alan tolse di tasca un portadocumenti, lo aprì e glielo mostrò. Due uomini della sicurezza lo presero in consegna. I ragazzi tornarono da lui e riaccesero l'interfono ”Un uomo ostinato.” disse Alan. “E piuttosto stupido.” disse Giulia.
Infatti sono molto soddisfatto che l'abbiate allontanato...Ragazzi, se non avete novità vado a fare colazione e poi credo che mi farò la barba...ho il necessario dentro il borsone, vero, cocca?”
Ce l'hai. A dopo.”
Paolo rientrò nella stanza dove Gigliola si stava svegliando e le carezzò i capelli. 
“Allora è tutto vero?” disse lei guardandosi intorno. 
“Sì. Speravi di aver sognato?”
Non so. Questa faccenda mi fa sentire viva e felice, nonostante tutto, dopo un lungo periodo tanto triste...E poi ci sei tu .. e Giulia, là fuori. C'è ancora?”
Certamente, impegnata e battagliera. Molto pratica, anche, ora vedrai cosa ci ha procurato prima di mettersi al lavoro. Piuttosto tu, niente rimpianti?”
Sapevo che ci saresti arrivato, prima o poi. Su, facciamo questo teatrino, a che ti riferisci?”
Al tuo giovane amico...”
Giovane! Quarantacinque anni...”
Tu ne hai cinquantasei..”
E perché credi che sia andata così?”
Perché non ti va di invecchiare. Sei sempre stata così bella..”
Vorrei vedere te al mio posto...”
Anche ora sei bella, in un altro modo. Invece hai avuto bisogno di un giovane stallone.”
"Non dire questo, non è vero. E comunque è durato due settimane!”
Soltanto? Non me l'hai detto!”
No, tu hai creduto che la storia fosse ancora in piedi, per mesi. Invece era finita. Non sapevo di che parlare con lui e poi mi sono sentita ancora più vecchia, una donna matura con un gigolò, anche se non lo era. L'ho lasciato dopo quindici giorni.”
E non mi hai detto niente..”
Mi ignoravi! Mi ignoravi da mesi, da anni si può dire. L'ho fatto per orgoglio. Tu hai passato periodi orribili, se ti ricordi, o ci sei ancora in mezzo?”
“”Quando ci sono state, in ospedale, quelle tre leucemie tutte insieme...
Era cominciato da prima. Avevi iniziato anche a bere.”
“Ora non esagerare, è stato solo un episodio e comunque ho smesso da tempo.”
Il 21 mattina mi ha chiamato Franca, che aveva saputo con un SMS che eravate isolati in malattie infettive e forse contagiati. Sono venuta subito.”
E ora sei qui ...”
Le toccò la fronte e il contatto fu più intimo che mai. Sentì tutto l'affetto immutato della moglie. Si ritirò per l'impressione ricevuta.
Tutti si erano alzati e stavano facendo la fila per il bagno. Paolo si chiese di nuovo se quella serenità apparente fosse dovuta alla situazione estrema che vivevano o al parassita che stava tenendo buoni i suoi ospiti prima di attaccarli. Non lasciò trasparire i suoi pensieri. Mangiarono in allegria. Sara e Nanni erano angelici, leggermente luccicanti, con la piccola luccicante anche lei. Paolo non poté fare a meno di vedere in loro un'immagine della Sacra Famiglia da sussidiario della sua infanzia e sorrise. Gaia aveva avuto dalla nonna una delle sue bambole e ci giocò un po', facendole fare il gioco della morte di mamma Huang. 
Incredibile, disse Gigliola, come i bambini metabolizzino le esperienze. Poi Marco la convinse a giocare, con più calma del giorno precedente, alle figure di polvere. Non c'era granché da fare, niente computer, niente televisione né giornali e dopo un po' alcuni si misero alle finestre, incantati, ad osservare la nebbia che, alzandosi, aveva coperto il paese sotto di loro come un manto, lasciando scoperta solo la punta del campanile. Il cielo adesso era di un azzurro che inteneriva il cuore. Gigliola gli disse : “Mi sembra tutto nuovo. Credo che a questa cosa che è dentro di me piaccia molto essere qui. Mi comunica un gran senso di pace, e tu sai quanto io sia irrequieta. Vorrebbe essere fuori, all'aperto, e anch'io lo vorrei...”
Passarono un paio d'ore. Sara e Nanni facevano yoga sul pavimento, dopo aver steso a terra delle coperte. Marco, curioso, si unì a loro e anche Gigliola. Gigliola che fa yoga! Paolo non se lo sarebbe aspettato da sua moglie. Non era nemmeno abituato a stare in ozio, ma ora se lo godeva. Guardava sua figlia lavorare di là dal vetro insieme ai due giovani. Erano molto concentrati sugli schermi dei computer e stavano parlando con qualcuno che si trovava chissà dove, in videoconferenza. Il vetro che li separava divideva nettamente le loro sorti, di qua l'inerzia e l'attesa, di là lavoro frenetico e tensione. Verso mezzogiorno arrivò Guido Di Segni, ignorò i tre ai computer e andò diritto da Paolo. “Sono arrivati i cinesi.” dichiarò abbattuto.
Cinesi?” disse Paolo."E che c'entrano ora i cinesi?"
 

SYM, il Parassita 9

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Per Sari: ecco cosa c'entrano i cinesi.

Sono arrivati i parenti della signora Huang.- disse Guido demoralizzato- Pare che vivesse praticamente sola e abbandonata, ma ora sono saltati fuori i parenti e vogliono vedere il corpo. Cioè, pensiamo che sia così, perché non ce n'è uno che parli italiano, che ci vengono a fare qua non l'ho mai capito, ci invadono e di parlare con noi non gli interessa niente.”
E io che posso fare per aiutarti?” disse Paolo. Gigliola era venuta vicino.
Come posso fare a fargli vedere il corpo? Aiutami a pensare. Ero concentrato su un'analisi interessantissima di una porzione di tessuto della signora Huang, di cui, fra parentesi, abbiamo fatto l'autopsia senza autorizzazione, ma d'altra parte l'abbiamo fatto per un ottimo motivo, quando mi hanno detto che giù all'ingresso c'era un gruppo anche piuttosto bellicoso di cinesi...”
Capisco... Bè, è evidente che non puoi farli venire a contatto con il corpo, dato il rischio di contagio, neanche puoi dire che forse si tratta di un'epidemia, o di una malattia probabilmente pericolosa e ancora da identificare, perché la notizia è riservata, e poi c'è il luccichio della pelle, che dovresti mascherare, e per quello basterebbe una ditta di pompe funebri, ma non si può fargliela vedere né toccare... un gioco a incastri, in cui l'unica cosa è chiamare la Polizia e farli disperdere, con il rischio che tornino in forze, magari da Prato...” 
L'hai detto, c'è un gruppo di Prato.” A Prato vive la comunità di cinesi più numerosa d'Italia.
"Ma ci sarà pure qualcuno fra loro che parli italiano ?”
Se non c'è -disse Gigliola- potrei parlare io con loro..”
Paolo la guardò sbalordito. 
Non mi fissare così. Credo di aver imparato il cinese dalla signora Huang, mentre giocavamo alle figure di polvere e dopo, quando ha avuto l'infarto.. come se fosse passato qualcosa, cioè molto, da lei a me."
Sara e Nanni si erano avvicinati. 
“E' vero, è successo anche a noi, come a Gaia, e forse potremmo parlare in cinese, con quanta efficacia non saprei dirlo..” Disse Sara. Paolo dovette sedersi. Guido Di Segni era molto pratico e disse che forse si poteva far venire un cinese, un rappresentante della comunità, qui dove si trovava lui, davanti alle stanze isolate, e parlare attraverso l'interfono... almeno si poteva provare. Gigliola suggerì di usare il correttore e la cipria per confondere il luccichio della pelle della signora Huang, e andò a prendere il suo beauty case. Passò tutto al dottor Di Segni che comunque avrebbe mostrato il cadavere attraverso il sacco di plastica trasparente. 
“Sarà un problema truccare un cadavere attraverso un sacco di plastica con le mani infilate in degli enormi guanti, ma a me piacciono le sfide...”sogghignò Guido. Paolo da un pezzo non lo vedeva tanto allegro.
Fu così che arrivarono i cinesi. Doveva essere uno solo e invece vennero tre persone, due uomini e una donna. Un ragazzo, con una giacca a vento scura e i jeans, un uomo con un abito da manager e un bel cappotto, una donna giovane e piuttosto dimessa. Sguardi impenetrabili, ma forse solo perché, pensarono Paolo e Gigliola, non siamo capaci di interpretarli e comunque loro, i cinesi, non lasciano venire alla superficie le emozioni come facciamo noi. Gigliola, Sara e Nanni, e anche Marchino, si schierarono davanti al vetro. Venne loro naturale inchinarsi per un attimo davanti ai cinesi, che dimostrarono stupore e si inchinarono a loro volta. Avevano convenuto che sarebbe stata Gigliola a parlare, come donna più anziana, forse la comunicazione sarebbe stata più efficace. Per Paolo fu sorprendente sentire la voce della moglie esprimersi in un'altra lingua, a lui sconosciuta e con suoni tanto lontani dall'italiano. Gigliola parlava lentamente e scandiva con attenzione le parole, quasi come se le cercasse da qualche parte dentro la propria testa. Ma ad un certo punto Sara sentì di dover intervenire e poi anche Nanni, e alla fine ognuno di quelli che avevano giocato con mamma Huang alle figure di polvere disse qualcosa. In cinese, ovviamente.
 I cinesi erano stupefatti. Ci fu un piccolo scambio di battute, tutti si inchinarono e si voltarono per andarsene. Ma la ragazza cinese esitò, tornò indietro e pose l'ultima domanda. Gigliola arrossì e rispose imbarazzata. La ragazza annuì, si inchinò di nuovo e uscì con gli altri. Quando i cinesi furono in fondo al corridoio tutti tirarono il fiato. “Che gli avete detto?” chiese Paolo.
Abbiamo tentato di dire il meno possibile. Ma non è stato facile.” disse Gigliola. 
Tua moglie-disse Sara- ha detto che la signora Huang era già malata di cuore ed ha avuto un infarto. Ma avevamo avuto modo di conoscerla, perché siamo rimasti tutti chiusi qui per via del guasto, il guasto finto, che non si è mai verificato, ma questo naturalmente non l'abbiamo detto, e prima ancora lei era arrivata all'ospedale perché stava male. Poi ad ognuno è venuto l'impulso di dire qualcosa, perché è stato come se la signora Huang fosse ancora viva in ognuno di noi e volesse parlare lei stessa con i suoi parenti. Ha un po' brontolato per essere stata lasciata sola e ora per essere usata come occasione di protestare, non c'è niente da protestare, ha detto, sono morta e basta, e questa gente è brava gente, e voi cattivi parenti, a parte Jenn, la ragazza...”
Quella che è tornata indietro?”
Lei, sì.”
E che voleva?”
Gigliola disse “ Pare che parlassimo cinese, effettivamente, e anche un cinese comprensibile, ma caratteristico di un luogo periferico della Cina, come se parlassimo, che ti posso dire, italiano con il vecchio dialetto della Chianella... come se tu ti trovassi a parlare con la moglie di Menchino della Fornace, ce l'hai presente? Quella che parla così stretto che si fa fatica a capirla anche noi?”
Già, capisco...- disse Paolo. - Avete tutti appreso il cinese in modo istantaneo da una vecchia donna ignorante che forse non conosceva bene neanche lei la lingua..”
Proprio così. “ disse Sara.
Ohi ohi. “ disse Paolo, immaginando che ci sarebbero state delle conseguenze.
 Poco dopo arrivò Guido Di Segni, sudato.
Non ti immagini, Paolo! Oh! Gigliola! Il tuo beauty è servito! Non avrei mai immaginato che mi sarebbe toccato di fare il truccatore di cadaveri, con la difficoltà di dover lavorare attraverso tutta quella plastica. Non è venuto un gran lavoro.” 
Guido ridacchiava, era perfino aumentato il suo buon umore. Quella faccenda strana e pericolosa tirava fuori il meglio di lui. Gigliola osservò che Guido le sembrava in forma.
Paolo constatò che anche lei, Gigliola, era in forma, e serena come non l'aveva mai vista. Dopo questo la giornata scorse lunghissima, tornò Cristina con i bambini, vennero altri pochi colleghi informati a trovarli, ma Paolo attendeva solo che il Parassita si manifestasse nei propri ospiti. Oltre il vetro sua figlia stava lavorando china sul proprio portatile, concentrata, tesa, scambiando poche parole con i due giovani. Ogni tanto alzava gli occhi, si stirava, si massaggiava le braccia e il collo e guardava oltre il vetro, se lui era lì gli rivolgeva un sorriso malinconico. Poi uno di loro si alzava, stampava qualcosa, e se andava con i fogli lungo il corridoio. Dove andassero, e a far che, Paolo non ne aveva idea. La sera, dopo aver cenato, e dopo l'attesa per usare il bagno, Paolo e Gigliola si trovarono come alla fine di una giornata di vacanza, una vacanza non organizzata, obbligatoria, ma molto piacevole, se si metteva da parte il senso di vaga e indefinita minaccia, che però Gigliola non sembrava percepire. Si sdraiarono abbracciati sullo stesso letto e si trovarono a fare l'amore dopo alcuni anni che non capitava più, perché anche gli ultimi tempi che vivevano insieme erano stati lontani... Loro non potevano vedersi, nel buio della stanza, ma la polvere cominciò a turbinare intorno a loro e li avvolse. Entrarono uno nell'altra come non era mai avvenuto, i pensieri si fusero, e poi non ci furono più pensieri, ma solo loro due che si amavano, come all'inizio, come se fosse per sempre. Insieme pensarono che era meraviglioso..
 Paolo pensò che quest'effetto sul sistema nervoso, quest'eliminazione di tutte le ansie, questo rilassamento simile ad una droga leggera, era bellissimo da sperimentare, che non era mai stato così prima con sua moglie. Doveva capitargli a quasi sessant'anni, e poco prima di morire. La vita era proprio strana. La stanchezza ebbe il sopravvento sui pensieri, si addormentò profondamente e la polvere, dal corpo di Gigliola, passò su di lui e lo contagiò. Entrò dappertutto e lo esplorò in profondità. Gaia intanto, fra i due genitori addormentati, uniti come in un bozzolo dalla polvere e felici, esplorava anche lei col suo nuovo senso là attorno a sé. Tutti dormivano in pace. Paolo e Gigliola, lei li sentiva, erano felici. Si addormentò tranquilla.

SYM il Parassita 10

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La febbre

Paolo e gli altri dormirono qualche ora. Lui e Gigliola furono svegliati bruscamente da Nanni. "Paolo, Paolo!"
"Che succede?" Paolo saltò a sedere sul letto.
" E' Gaia..Gaia ha la febbre...."

Gaia aveva la febbre altissima, il termometro segnava più di 40°. Gli occhi chiusi seguivano le immagini di un sogno, muovendosi rapidissimi dietro le palpebre. 
“Ci siamo.” Pensò Paolo, e provò a toccarla, ma lei si irrigidì come in preda ad una convulsione.
"Prendi un asciugamano bagnato e mettiglielo sulla fronte- disse Paolo a Sara- io vado ad avvertire i ragazzi." 
Di là dal vetro Alan, Louis e Giulia stavano curvi sui loro computer e si scambiavano informazioni.  Sembravano tesi e stanchissimi. "Babbo.."disse Giulia.
"Cocca, non hai dormito per niente..."
Non era una domanda, si vedeva che erano stati svegli e la notte era solo a metà. 
"La bambina sta attraversando una crisi, ha la febbre altissima e non possiamo toccarla.."
Alan disse, alzando il capo dallo schermo "Ah, ecco! Lo immaginavo...Sta succedendo anche negli USA e in Inghilterra, a Chicago hanno un ospedale pieno di gente infettata che sta cominciando ad avere la febbre."
"Anche da noi in Francia- disse Louis , e in Germania ... quasi in tutta Europa."
"E io che pensavo che fossimo gli unici!" - esclamò Paolo.
"Ma no dottore, è una pandemia vera e propria che si sta scatenando... un  grosso guaio." Louis si passò le mani fra i ricci scuri. Il dottor Smith fece aprire la porta ed entrò con un pò di strumentazione. Non aveva né maschera né protezioni.
"Non doveva entrare, dottore, potevamo occuparcene io e l'altro medico..." Disse Paolo, ma l'altro scosse il capo e gli posò la mano sulla spalla. "Coraggio, credo che sarà una lunga notte."
Tornarono dalla piccola e la vegliarono per almeno due ore, dopo di che, alle prime luci del giorno, la bambina sembrò riprendersi. Fu allora che sua madre Sara e suo padre cedettero alla febbre a loro volta. Per loro fu anche peggio, la temperatura si alzò accompagnata da delirio e contrazioni muscolari, quasi come se si trattasse di tetano.
Non conoscevano il parassita e non sapevano come intervenire, e il dottor Smith convenne con gli altri medici che si poteva solo osservare il decorso intervenendo per raffreddare la superficie del corpo. Era impossibile inserire gli aghi per idratare i pazienti, la pelle era diventata dura, quasi impenetrabile. Il dottor Smith osservò che in quel caso tutti loro erano cavie... I medici andavano da un letto all'altro, ancheGigliola dovette sdraiarsi, poi Marchino,  il dottor Benci del pronto soccorso e l'infermiera Marina. Per ultimi cedettero alla febbre Paolo e il medico inglese. Gaia, che si era ripresa, vagava fra i letti con un'espressione stranita, aspettando di conoscere la sorte dei suoi genitori e degli altri, e  a Paolo, prima di cadere anche lui in un delirio spossante, parve che fosse cresciuta, nel corso della nottata. Una volta si diceva che i bambini crescono, con la febbre, pensò prima di perdere coscienza e cadere in un sogno tormentoso.

Sognò di essere in un luogo scuro e freddissimo e lui  viaggiava in questo luogo, ed era solo una scintilla di consapevolezza. Viaggiava da moltissimo tempo, forse migliaia o centinaia di migliaia di anni, se il tempo fosse stato misurato con i riferimenti della Terra. All'inizio era stato qualcos'altro, una creatura più complessa con un veicolo che la proteggeva, ma dopo tutto quel tempo c'era rimasta solo una scintilla di coscienza, un progetto, e qualche brandello di ricordo. Aveva molte mete da raggiungere, una di queste era  il terzo pianeta di un sistema con una stella nana gialla, e quando vi fosse arrivato forse lì avrebbe trovato la vita. Se non ci fosse stata vita il lunghissimo viaggio sarebbe stato inutile. Sapeva di essere un dono per le creature che avrebbe incontrato ed amava la vita in ogni sua forma. Non vedeva l'ora di arrivare alla meta, anche se di sé era rimasto così poco. Non sapeva più se era stato inviato o se era partito da solo, non sapeva neanche se qualcuno l'aveva creato come macchina biologica o se era nato così. Sapeva che desiderava calore, luce e vita. Entrando nell'atmosfera del pianeta una parte di luibruciò e solo pochissimi granelli di ciò che era all'inizio arrivarono vivi. Era pieno di gratitudine, per essere arrivato, per essere ancora attivo. Trovò moltissime creature, insetti, scoiattoli, ghiri, volpi, caprioli, cinghiali, gatti, cani, topi, serpenti che dormivano nella terra, uccelli posati sugli alberi e uomini.  Era separato in tante parti minuscole, ma era anche unito come era sempre stato, e Paolo, sognando, sentì l'alienità assoluta dell'essere arrivato dalle stelle e si contorse per integrare  quella visione estranea e ignota. Ma l'essere non voleva spaventarlo, voleva amarlo e stare con lui, con tutti loro.
 Paolo si svegliò dal delirio e dalla febbre intorno a mezzogiorno del 23 dicembre. Sua moglie lo chiamò con dolcezza, carezzandogli la fronte. "E' passata Paolo, ora sei fresco ..." 
Era ancora in stato confusionale. Chiuse di nuovo gli occhi e lasciò che tutto tornasse normale . 
"Hai sognato anche te ?" chiese alla moglie . "
"Sì, anch'io.." 
"Lo spazio profondo e l'essere che viaggia..." Gigliola gli toccò di nuovo la fronte e non ci fu bisogno che parlasse.
Gigliola lo aiutò ad alzarsi. Era paziente e dolce, e non era più così da tanto tempo. 
Gli altri gli si strinsero intorno. "Hei, ma brilliamo tutti!" Dentro la sua testa  una voce parlò:

non ti ho/abbiamo danneggiato, disse, ma era necessaria la febbre per  completare il contatto. Paolo ondeggiò e dovette sedersi.
Ora siete i primi, insieme ad altri di quasi tutte le parti di questo meraviglioso pianeta. Per voi siamo/sono una nuova pelle, molto efficiente. Vi accorgerete di essere più sani e longevi, più sereni e intelligenti. Noi/io e voi, siamo insieme. 

Paolo si stupì del nuovo soggetto Io/noi, nella lingua italiana non c'era un termine per indicare qualcuno che è molti e uno solo nello stesso tempo. 

"Ci/mi piace -disse la voce - la vostra molteplicità. Ci/mi piace ed ognuno di me/noi diventa singolo per il contatto con ognuno di voi, ma resta unico, unito a tutte le parti. Ci/mi piace molto, ma anche per me/noi è una cosa nuova."

 La voce dentro di lui gli fece vedere un altro mondo che arrivava, dove gli uomini comunicavano senza parlare, dove alcuni respiravano nell'acqua, e altri vivevano adattati perfettamente alle altezze estreme. Gli fece vedere un pianeta meno abitato e più sano, e una specie umana che sembrava tutta nuova.

SYM il Parassita 11

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Questa che state per leggere è la puntata numero 11 che conclude la prima parte della storia del SYM e dell'uomo.

La voce nella testa di Paolo disse ancora:
Ora possiamo fare qualcosa per i bambini che ho visto ieri e per quelli che vedo nella tua mente, usciamo da qui.”
Frastornato dalla voce, che percepiva come voce, ma era altro, e dall'attenzione necessaria all'esterno, andò verso il vetro delle stanze di isolamento insieme agli altri. L'infermiera Marina lo trattenne e lui vide che lei non brillava.
"Dottore, ho avuto la febbre, ma non ho sviluppato il contagio! Sono sana!"
"Bene Marina! Non è contenta?"
 "No dottore, io no, vedo che voi tutti luccicate, perché io no?"
"Credo sia... questione di affinità, Marina... non c'è affinità fra lei e il nostro parassita.."

"Sai che penso, Gigliola? -disse a sua moglie.- Ricordi che diceva il Principe di Salina nel Gattopardo? Tutto cambia perché non cambi niente, ma questa volta mi pare che all'apparenza non sia cambiato niente, e invece è cambiato tutto." 
Andarono davanti al vetro e al di là sua figlia, Alan e Louis si abbracciavano. Alan e Giulia con troppo trasporto. Paolo capì che avrebbe avuto un genero con il nome di un personaggio dei fumetti della sua giovinezza. La vita è strana, strana e meravigliosa...
 "Babbo!-disse Giulia attraverso l'interfono - Indovina ? Una figlia del presidente Obama è stata contagiata! Ha convinto suo padre a non intervenire! E ora sembra che questo parassita sia una risorsa e non una malattia mortale!"
"Lo so, cocca. Aprite questa porta."
Quando aprirono uscì insieme a loro una nuvola di particelle che si diffuse nel corridoio. Andarono nei reparti e la creatura di luce si diffuse su tutti, personale e malati, tutti sorridevano ed era molto contagioso sia il luccichio che il buonumore. Per ora Paolo e Gigliola e gli altri non potevano fare altro che questo: condividere. L'essere di polvere luminosa era felice. Paolo e Gigliola uscirono nella gelida mattinata invernale e si avviarono a casa a piedi: l'essere alieno in loro li proteggeva dal freddo e assorbiva la luce pallida del sole. Dovettero togliere i cappotti. " Credo che farò l'albero di Natale. " Disse Gigliola. L'essere di luce rispose: "Sarà un Natale bellissimo."


Tutto questo è estratto da Wikipedia dell'anno 2075. Il racconto è stato scritto da Giulia Giusti e da suo marito Alan Ford, è letto in tutte le scuole  e diventato notissimo in Italia e nel mondo. E' solo uno dei racconti dell'arrivo del SYM. Ce ne sono altri in tutti i paesi in cui avvenne il primo contatto. L'essere di luce, dopo essere stato individuato come parassita, fu chiamato "simbionte", ( simbionte, che vive con l'uomo) e indicato in tutto il mondo con la parola SYM.

Marco Parrini battè lentamente le mani “Come mi piace questo racconto italiano! Ha un sapore molto.. europeo, casalingo, familiare! Fa anche ridere! Ti scopro narratore, dottor Bhat!”
Deepak si schernì: “No, no, per carità, il racconto non è mio, l'ho sentito tante volte che ormai lo so a memoria! E' di Giulia Giusti, e di suo marito Alan. Ed è un po' una fiaba, celebrativo, ridondante, soprattutto alla fine, come tutti i Racconti dell'Arrivo, non è andata proprio così, ma si avvicina molto alla realtà, anche se poi sono accadute altre cose, come conseguenza di queste, non altrettanto piacevoli.”
Come fai a conoscerlo così bene? Un interesse antropologico?”
Non direi. Ricordi i tre bambini che ad un certo punto della storia vanno a salutare il dottor Giusti con la caposala, Cristina, perché erano alcune ore che non lo vedevano? E ricordi in particolare il bambino che ho citato con la pelle scura, senza capelli per le terapie? Quello che era in carrozzina?”
Non dirmi che...”
Deepak allargò un sorriso enorme che parve dividere il suo viso in due.
Quel bambino ero io. Vivevamo da qualche anno in Italia. Mio padre aveva vendeva abiti usati ai mercati locali ed abitavamo alla Chianella. Nei piccoli paesi gli affitti erano più bassi e lì ci eravamo sistemati in una casa molto povera, senza riscaldamento. Usavamo l'acqua di un pozzo che era stato inquinato dai pesticidi, ma non lo sapevamo. Mi ammalai qualche mese prima che scendesse il SYM.”
Vuoi dire che il SYM c'entra qualcosa con la tua guarigione?”
Esattamente. Quando il dottore e gli altri uscirono dai reparti isolati vennero in pediatria. Erano circondati da una nuvola di particelle luminose e di felicità, raggianti. Una cosa che non ho mai più visto accadere. Tutti venimmo a contatto col SYM, ma non per tutti fu la stessa cosa. Alcuni bambini furono “contagiati” dal SYM, come si diceva all'inizio, altri no, alcuni continuarono ad essere malati, e le loro malattie ebbero l'evoluzione prevista, ma io, che sembravo un caso disperato, ebbi prima una febbre violenta per un paio di giorni, poi cominciai a star meglio e tutti i valori, nelle mie analisi, migliorarono. Fui dichiarato guarito, ma accadevano tante cose belle, al principio, che non ci si faceva più caso. Io e la mia famiglia, però, eravamo immensamente felici. ”

SYM 12

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Immaginate che la storia del SYM e degli uomini continui, ma non in un posto lontano, proprio qui vicino a dove vivo io, nel paesino immaginario ma verosimile della Chianella. 
Che succede quando in una comunità si introduce un elemento di diversità?
E se l'elemento di diversità tira fuori gli aspetti migliori di ognuno? 
E se qualcuno non accetta la diversità, come succede sempre, purtroppo?
Forse le cose andrebbero così...

Febbraio 2013: INVISIBILI 


Erano passati due mesi dall'arrivo del SYM. Dappertutto, nei luoghi dove era sceso il SYM, si era deciso che sulla cosa calasse il sipario, c'era stato questo accordo unanime, si era lasciato che i mezzi di comunicazione dimenticassero la vicenda, e la comunicazione consentita dal SYM aveva agevolato questo comportamento.

Il SYM e gli esseri umani si stavano adattando l'uno agli altri e si prendevano per questo il tempo necessario. A questo scopo era indispensabile un clima di pace e serenità, dove e se possibile, altrimenti semplicemente il silenzio. Tutti gli ospiti del SYM avevano imparato a modulare la luminosità della pelle, e potevano risultare indistinguibili dai non portatori, perché tutti erano consapevoli che c'era gente che li odiava. Buona parte del risentimento di solito orientato verso i diversi da sé, i neri, gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, i meridionali e settentrionali, i poveri e i ricchi … ora comprendeva anche gli HSS+, cioè i portatori di SYM che, anzi, erano arrivati velocemente in cima alla classifica delle persone di cui diffidare. C'è sempre qualcuno che odia le novità, le cose e le persone diverse, bisogna tenerne conto, ma si può cercare di non stimolare curiosità morbose, e diventare INVISIBILI. Alan disse questo a tutti loro. Una sera a cena, mentre chiacchieravano con Guido Disegni, sua moglie e altre persone che avevano condiviso l'esperienza dell'Arrivo, Alan disse “Cercate di essere invisibili, niente di speciale, come eravate prima di tutto questo. Non è difficile, semplicemente conducete la vita che facevate prima, non parlate del SYM con chi non conoscete, tu, Giulia, non fare l'avvocato difensore del SYM, non ne ha bisogno.” Giulia lo incenerì con gli occhi.
Io sarei avvocato di cosa?”
Hai capito. Non andare in giro a parlare con fervore del SYM, vivi tranquilla e riservata, se ti riesce, e ricordati che tu non lo conosci, non sai chi è, ma da qualche parte c'è chi ti odia solo perché tu hai il SYM e lui no. Il SYM in questa fase può essere un fattore di divisione e separazione, non tener conto di quello che è successo a noi. E soprattutto, niente figure di polvere!”
Te hai una deformazione da agente segreto, te lo dico io.” disse Giulia. 
Io ho la prudenza, e sì, chiamala pure diffidenza, che mi è stata insegnata dal mio lavoro. Tu hai l'entusiasmo, l'imprudenza, la voglia di convertire il mondo, di migliorarlo, di chi il male non l'ha mai visto di persona, ma solo immaginato. Forse, dico forse, le cose, con il SYM, cambieranno in meglio, ma per cambiare ci vuole tempo, non avviene tutto in un attimo. Il Sym ci ha messo centinaia di migliaia di anni per arrivare qui. Vuoi dargli, vuoi darci qualche anno per cambiare insieme le cose?”

Gigliola era tornata a vivere con Paolo. Era tutto molto naturale, ma era anche, inutile negarlo, un nuovo inizio, in cui entrambi a volte provavano un po' di imbarazzo. Gigliola, tornando alla Chianella, aveva lasciato un lavoro che aveva a Firenze. Non lo rimpiangeva, non era cosa da rimpiangere, ma si annoiava un pochino. A volte fra lei e Paolo c'era un po' della vecchia elettricità, a momenti stavano per litigare, ed era solo la presenza del SYM, in loro, la sua infinita gratitudine, che stemperava i conflitti prima che nascessero. Paolo si rendeva conto che Gigliola stava cambiando, e diventava consapevole di aspetti di se stessa e del mondo che prima non aveva mai considerato. Aveva anche bisogno di impegnarsi, di sentirsi utile. Anche Paolo stava cambiando, ma lui aveva il suo lavoro che, come sempre, lo aiutava. 

La loro casa era appena fuori del paese e il pomeriggio cominciarono a venire spesso alcuni ragazzini che erano stati pazienti di Paolo. Uno era il figlio del fornaio, Luchino, la cui famiglia era della Chianella da generazioni. Un altro era Deepak, il bambino indiano, la cui leucemia era stata dichiarata in remissione, poi c'era Michele, il miglior amico di Deepak, e ancora il piccolo Fritz che aveva i nonni tedeschi, arrivati in zona per fare agricoltura biologica negli anni ottanta, e altri. Come uno stormo di uccellini arrivavano e chiacchieravano un po' con Paolo. Gigliola portava loro un pezzettino di dolce o della frutta. Poi come uccellini svolazzavano altrove. C'era un porticato a sud della casa e Paolo si sedeva lì dopo pranzo, se c'era il sole. I bambini arrivavano e si sedevano anche loro, serissimi. Paolo masticava un sigaro spento, da quando aveva il Sym non gli piaceva più fumare, ma le brutte abitudini sono dure a morire, e si ritrovava col sigaro in bocca senza accenderlo.
E' arrivata la delegazione ONU.” diceva Gigliola, alludendo al miscuglio di colori della pelle e provenienze dei piccoli, e Paolo rideva. Una sera a cena Gigliola osservò che Paolo parlava più volentieri con questi bambini che con gli adulti.
Sennò non avrei fatto il pediatra.“ rispose lui.
E cosa vi dite?”
Oggi parlavamo di antropologia.”
Antropologia. Figuriamoci. Con dei bambini delle elementari. E che dicevate di antropologico?”
Ho chiesto a Deepak a che etnia appartenga la sua famiglia. Mi ha risposto che sono indiani Sik. Gli indiani Sik fanno tenere i capelli lunghi ai ragazzini fino, credo, ai dodici o tredici anni. Li legano in una crocchia in cima alla testa con un gran fiocco rosso. Poi li tagliano in una specie di rito di passaggio alla maturità.”
Gigliola rise “Davvero? Chissà qui che direbbero gli altri ragazzi! Prenderebbero in giro uno che tiene i capelli così! Ma te che ne sai?”
Indovina?”
Hai avuto un piccolo paziente indiano Sik...”
Eh già.”
Era quel ragazzino che si ammalò di leucemia come Deepak, però lui morì...”
Proprio quello.”
Un brutto ricordo, eh, Paolo?”
Orribile.”
Quindi Deepak dovrebbe far ricrescere i capelli lunghi fino ai tredicianni..
Deepak aveva perso tutti i capelli nel corso delle terapie prima dell'arrivo del SYM. Ora stavano ricrescendo in una specie di pelliccetta scurissima, lucida e dritta sulla testa. 
Sì, gliel'ho chiesto. Ma lui ha detto che suo padre lascerà che tagli i capelli come gli altri ragazzini di qui. Sei già cresciuto a causa della malattia, sei già un uomo, gli ha detto.”
Ah! - fece Gigliola ammirata- Un padre intelligente!”
Bambino intelligente, famiglia intelligente. Almeno di solito.” Disse Paolo. 
Un pomeriggio i ragazzini dissero qualcosa riguardo ai compiti da fare per scuola e Gigliola disse: “Perché non venite a farli qui da me? Sono quasi sempre sola, mi fareste compagnia. Posso avvisare i vostri genitori, così lo sanno e non si preoccupano.” 
I bambini si guardarono e si capì subito che l'idea piaceva a tutti. Non vedevano l'ora di ritrovarsi insieme e a tutti piaceva la moglie del dottore. Ma Gigliola si morse la lingua. Si era messa in un bel guaio. Chissà che le era venuto in mente di dire quella stupidaggine, aveva sempre avuto difficoltà con i ragazzini.
Nel primo pomeriggio di una giornata di sole pallido di febbraio 2013 arrivarono i bambini che, da 5 che erano all'inizio, diventarono presto una quindicina, dalla prima elementare fino alla prima media. Quasi tutti i ragazzini del paese. Gigliola era laureata in lettere e da giovane, per un periodo, aveva insegnato nella scuola media. Da quando aveva il SYM era più paziente e i bambini cominciarono a piacerle, mentre prima non li sopportava granché. I bambini erano assortiti, come provenienze, come sesso e anche perché alcuni avevano il SYM ed altri no. Dopo i primi due o tre giorni si era stabilito un clima di collaborazione fra di loro e si aiutavano a vicenda nei compiti. Li osservava, seduta nella poltroncina di vimini con una tazza di tè in mano. Interveniva soprattutto per le correzioni linguistiche, necessarie visto il miscuglio di lingue diverse. I bambini, quelli in comunicazione SYM, avevano appreso le lingue degli altri, ma con tutti i difetti e gli errori degli altri, come era avvenuto con il cinese della signora Huang. 
I bambini senza SYM continuavano a conoscere solo l'italiano, e, alcuni di loro, maluccio. Il SYM non si era occupato di questa cosa e forse era una delle cose di cui non si sarebbe occupato mai, intendeva lasciare vasti spazi liberi ai suoi ospiti, in cui non intervenire affatto. Deepak era il più bravo in matematica, sorridente, paziente e disposto ad aiutare i compagni.
Ha l'attitudine di un insegnante. Non erano gli indiani che affollavano le università americane e erano bravissimi in matematica e fisica?” pensava Gigliola. Cominciava a divertirsi molto con i ragazzini e quando Paolo tornava dal lavoro gli raccontava i fatti del giorno. Telefonava anche a Giulia, che in quel periodo si trovava a Londra e Giulia disse: “Ti ricordi, mamma, che Alan ha detto che dovevamo essere invisibili?”
Sì, ma che c'entra? “
C'entra, mamma, vedrai che da questo doposcuola verrà fuori qualche rogna.”
 
 
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