Immaginate che la storia del SYM e degli uomini continui, ma non in un posto lontano, proprio qui vicino a dove vivo io, nel paesino immaginario ma verosimile della Chianella.
Che succede quando in una comunità si introduce un elemento di diversità?
E se l'elemento di diversità tira fuori gli aspetti migliori di ognuno?
E se qualcuno non accetta la diversità, come succede sempre, purtroppo?
Forse le cose andrebbero così...
Febbraio 2013: INVISIBILI
Erano passati due mesi dall'arrivo del SYM. Dappertutto, nei luoghi dove era sceso il SYM, si era deciso che sulla cosa calasse il sipario, c'era stato questo accordo unanime, si era lasciato che i mezzi di comunicazione dimenticassero la vicenda, e la comunicazione consentita dal SYM aveva agevolato questo comportamento.
Il SYM e gli esseri umani si stavano adattando l'uno agli altri e si prendevano per questo il tempo necessario. A questo scopo era indispensabile un clima di pace e serenità, dove e se possibile, altrimenti semplicemente il silenzio. Tutti gli ospiti del SYM avevano imparato a modulare la luminosità della pelle, e potevano risultare indistinguibili dai non portatori, perché tutti erano consapevoli che c'era gente che li odiava. Buona parte del risentimento di solito orientato verso i diversi da sé, i neri, gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, i meridionali e settentrionali, i poveri e i ricchi … ora comprendeva anche gli HSS+, cioè i portatori di SYM che, anzi, erano arrivati velocemente in cima alla classifica delle persone di cui diffidare. C'è sempre qualcuno che odia le novità, le cose e le persone diverse, bisogna tenerne conto, ma si può cercare di non stimolare curiosità morbose, e diventare INVISIBILI. Alan disse questo a tutti loro. Una sera a cena, mentre chiacchieravano con Guido Disegni, sua moglie e altre persone che avevano condiviso l'esperienza dell'Arrivo, Alan disse “Cercate di essere invisibili, niente di speciale, come eravate prima di tutto questo. Non è difficile, semplicemente conducete la vita che facevate prima, non parlate del SYM con chi non conoscete, tu, Giulia, non fare l'avvocato difensore del SYM, non ne ha bisogno.” Giulia lo incenerì con gli occhi.
“Io sarei avvocato di cosa?”
“Hai capito. Non andare in giro a parlare con fervore del SYM, vivi tranquilla e riservata, se ti riesce, e ricordati che tu non lo conosci, non sai chi è, ma da qualche parte c'è chi ti odia solo perché tu hai il SYM e lui no. Il SYM in questa fase può essere un fattore di divisione e separazione, non tener conto di quello che è successo a noi. E soprattutto, niente figure di polvere!”
“Te hai una deformazione da agente segreto, te lo dico io.” disse Giulia.
“Io ho la prudenza, e sì, chiamala pure diffidenza, che mi è stata insegnata dal mio lavoro. Tu hai l'entusiasmo, l'imprudenza, la voglia di convertire il mondo, di migliorarlo, di chi il male non l'ha mai visto di persona, ma solo immaginato. Forse, dico forse, le cose, con il SYM, cambieranno in meglio, ma per cambiare ci vuole tempo, non avviene tutto in un attimo. Il Sym ci ha messo centinaia di migliaia di anni per arrivare qui. Vuoi dargli, vuoi darci qualche anno per cambiare insieme le cose?”
Gigliola era tornata a vivere con Paolo. Era tutto molto naturale, ma era anche, inutile negarlo, un nuovo inizio, in cui entrambi a volte provavano un po' di imbarazzo. Gigliola, tornando alla Chianella, aveva lasciato un lavoro che aveva a Firenze. Non lo rimpiangeva, non era cosa da rimpiangere, ma si annoiava un pochino. A volte fra lei e Paolo c'era un po' della vecchia elettricità, a momenti stavano per litigare, ed era solo la presenza del SYM, in loro, la sua infinita gratitudine, che stemperava i conflitti prima che nascessero. Paolo si rendeva conto che Gigliola stava cambiando, e diventava consapevole di aspetti di se stessa e del mondo che prima non aveva mai considerato. Aveva anche bisogno di impegnarsi, di sentirsi utile. Anche Paolo stava cambiando, ma lui aveva il suo lavoro che, come sempre, lo aiutava.
La loro casa era appena fuori del paese e il pomeriggio cominciarono a venire spesso alcuni ragazzini che erano stati pazienti di Paolo. Uno era il figlio del fornaio, Luchino, la cui famiglia era della Chianella da generazioni. Un altro era Deepak, il bambino indiano, la cui leucemia era stata dichiarata in remissione, poi c'era Michele, il miglior amico di Deepak, e ancora il piccolo Fritz che aveva i nonni tedeschi, arrivati in zona per fare agricoltura biologica negli anni ottanta, e altri. Come uno stormo di uccellini arrivavano e chiacchieravano un po' con Paolo. Gigliola portava loro un pezzettino di dolce o della frutta. Poi come uccellini svolazzavano altrove. C'era un porticato a sud della casa e Paolo si sedeva lì dopo pranzo, se c'era il sole. I bambini arrivavano e si sedevano anche loro, serissimi. Paolo masticava un sigaro spento, da quando aveva il Sym non gli piaceva più fumare, ma le brutte abitudini sono dure a morire, e si ritrovava col sigaro in bocca senza accenderlo.
“E' arrivata la delegazione ONU.” diceva Gigliola, alludendo al miscuglio di colori della pelle e provenienze dei piccoli, e Paolo rideva. Una sera a cena Gigliola osservò che Paolo parlava più volentieri con questi bambini che con gli adulti.
“Sennò non avrei fatto il pediatra.“ rispose lui.
“E cosa vi dite?”
“Oggi parlavamo di antropologia.”
“Antropologia. Figuriamoci. Con dei bambini delle elementari. E che dicevate di antropologico?”
“Ho chiesto a Deepak a che etnia appartenga la sua famiglia. Mi ha risposto che sono indiani Sik. Gli indiani Sik fanno tenere i capelli lunghi ai ragazzini fino, credo, ai dodici o tredici anni. Li legano in una crocchia in cima alla testa con un gran fiocco rosso. Poi li tagliano in una specie di rito di passaggio alla maturità.”
Gigliola rise “Davvero? Chissà qui che direbbero gli altri ragazzi! Prenderebbero in giro uno che tiene i capelli così! Ma te che ne sai?”
“Indovina?”
“Hai avuto un piccolo paziente indiano Sik...”
“Eh già.”
“ Era quel ragazzino che si ammalò di leucemia come Deepak, però lui morì...”
“Proprio quello.”
“Un brutto ricordo, eh, Paolo?”
“Orribile.”
“Quindi Deepak dovrebbe far ricrescere i capelli lunghi fino ai tredicianni..”
Deepak aveva perso tutti i capelli nel corso delle terapie prima dell'arrivo del SYM. Ora stavano ricrescendo in una specie di pelliccetta scurissima, lucida e dritta sulla testa.
“Sì, gliel'ho chiesto. Ma lui ha detto che suo padre lascerà che tagli i capelli come gli altri ragazzini di qui. Sei già cresciuto a causa della malattia, sei già un uomo, gli ha detto.”
“Ah! - fece Gigliola ammirata- Un padre intelligente!”
“Bambino intelligente, famiglia intelligente. Almeno di solito.” Disse Paolo.
Un pomeriggio i ragazzini dissero qualcosa riguardo ai compiti da fare per scuola e Gigliola disse: “Perché non venite a farli qui da me? Sono quasi sempre sola, mi fareste compagnia. Posso avvisare i vostri genitori, così lo sanno e non si preoccupano.”
I bambini si guardarono e si capì subito che l'idea piaceva a tutti. Non vedevano l'ora di ritrovarsi insieme e a tutti piaceva la moglie del dottore. Ma Gigliola si morse la lingua. Si era messa in un bel guaio. Chissà che le era venuto in mente di dire quella stupidaggine, aveva sempre avuto difficoltà con i ragazzini.
Nel primo pomeriggio di una giornata di sole pallido di febbraio 2013 arrivarono i bambini che, da 5 che erano all'inizio, diventarono presto una quindicina, dalla prima elementare fino alla prima media. Quasi tutti i ragazzini del paese. Gigliola era laureata in lettere e da giovane, per un periodo, aveva insegnato nella scuola media. Da quando aveva il SYM era più paziente e i bambini cominciarono a piacerle, mentre prima non li sopportava granché. I bambini erano assortiti, come provenienze, come sesso e anche perché alcuni avevano il SYM ed altri no. Dopo i primi due o tre giorni si era stabilito un clima di collaborazione fra di loro e si aiutavano a vicenda nei compiti. Li osservava, seduta nella poltroncina di vimini con una tazza di tè in mano. Interveniva soprattutto per le correzioni linguistiche, necessarie visto il miscuglio di lingue diverse. I bambini, quelli in comunicazione SYM, avevano appreso le lingue degli altri, ma con tutti i difetti e gli errori degli altri, come era avvenuto con il cinese della signora Huang.
I bambini senza SYM continuavano a conoscere solo l'italiano, e, alcuni di loro, maluccio. Il SYM non si era occupato di questa cosa e forse era una delle cose di cui non si sarebbe occupato mai, intendeva lasciare vasti spazi liberi ai suoi ospiti, in cui non intervenire affatto. Deepak era il più bravo in matematica, sorridente, paziente e disposto ad aiutare i compagni.
“Ha l'attitudine di un insegnante. Non erano gli indiani che affollavano le università americane e erano bravissimi in matematica e fisica?” pensava Gigliola. Cominciava a divertirsi molto con i ragazzini e quando Paolo tornava dal lavoro gli raccontava i fatti del giorno. Telefonava anche a Giulia, che in quel periodo si trovava a Londra e Giulia disse: “Ti ricordi, mamma, che Alan ha detto che dovevamo essere invisibili?”
“Sì, ma che c'entra? “
“C'entra, mamma, vedrai che da questo doposcuola verrà fuori qualche rogna.”
Che succede quando in una comunità si introduce un elemento di diversità?
E se l'elemento di diversità tira fuori gli aspetti migliori di ognuno?
E se qualcuno non accetta la diversità, come succede sempre, purtroppo?
Forse le cose andrebbero così...
Febbraio 2013: INVISIBILI
Erano passati due mesi dall'arrivo del SYM. Dappertutto, nei luoghi dove era sceso il SYM, si era deciso che sulla cosa calasse il sipario, c'era stato questo accordo unanime, si era lasciato che i mezzi di comunicazione dimenticassero la vicenda, e la comunicazione consentita dal SYM aveva agevolato questo comportamento.
Il SYM e gli esseri umani si stavano adattando l'uno agli altri e si prendevano per questo il tempo necessario. A questo scopo era indispensabile un clima di pace e serenità, dove e se possibile, altrimenti semplicemente il silenzio. Tutti gli ospiti del SYM avevano imparato a modulare la luminosità della pelle, e potevano risultare indistinguibili dai non portatori, perché tutti erano consapevoli che c'era gente che li odiava. Buona parte del risentimento di solito orientato verso i diversi da sé, i neri, gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, i meridionali e settentrionali, i poveri e i ricchi … ora comprendeva anche gli HSS+, cioè i portatori di SYM che, anzi, erano arrivati velocemente in cima alla classifica delle persone di cui diffidare. C'è sempre qualcuno che odia le novità, le cose e le persone diverse, bisogna tenerne conto, ma si può cercare di non stimolare curiosità morbose, e diventare INVISIBILI. Alan disse questo a tutti loro. Una sera a cena, mentre chiacchieravano con Guido Disegni, sua moglie e altre persone che avevano condiviso l'esperienza dell'Arrivo, Alan disse “Cercate di essere invisibili, niente di speciale, come eravate prima di tutto questo. Non è difficile, semplicemente conducete la vita che facevate prima, non parlate del SYM con chi non conoscete, tu, Giulia, non fare l'avvocato difensore del SYM, non ne ha bisogno.” Giulia lo incenerì con gli occhi.
“Io sarei avvocato di cosa?”
“Hai capito. Non andare in giro a parlare con fervore del SYM, vivi tranquilla e riservata, se ti riesce, e ricordati che tu non lo conosci, non sai chi è, ma da qualche parte c'è chi ti odia solo perché tu hai il SYM e lui no. Il SYM in questa fase può essere un fattore di divisione e separazione, non tener conto di quello che è successo a noi. E soprattutto, niente figure di polvere!”
“Te hai una deformazione da agente segreto, te lo dico io.” disse Giulia.
“Io ho la prudenza, e sì, chiamala pure diffidenza, che mi è stata insegnata dal mio lavoro. Tu hai l'entusiasmo, l'imprudenza, la voglia di convertire il mondo, di migliorarlo, di chi il male non l'ha mai visto di persona, ma solo immaginato. Forse, dico forse, le cose, con il SYM, cambieranno in meglio, ma per cambiare ci vuole tempo, non avviene tutto in un attimo. Il Sym ci ha messo centinaia di migliaia di anni per arrivare qui. Vuoi dargli, vuoi darci qualche anno per cambiare insieme le cose?”
Gigliola era tornata a vivere con Paolo. Era tutto molto naturale, ma era anche, inutile negarlo, un nuovo inizio, in cui entrambi a volte provavano un po' di imbarazzo. Gigliola, tornando alla Chianella, aveva lasciato un lavoro che aveva a Firenze. Non lo rimpiangeva, non era cosa da rimpiangere, ma si annoiava un pochino. A volte fra lei e Paolo c'era un po' della vecchia elettricità, a momenti stavano per litigare, ed era solo la presenza del SYM, in loro, la sua infinita gratitudine, che stemperava i conflitti prima che nascessero. Paolo si rendeva conto che Gigliola stava cambiando, e diventava consapevole di aspetti di se stessa e del mondo che prima non aveva mai considerato. Aveva anche bisogno di impegnarsi, di sentirsi utile. Anche Paolo stava cambiando, ma lui aveva il suo lavoro che, come sempre, lo aiutava.
La loro casa era appena fuori del paese e il pomeriggio cominciarono a venire spesso alcuni ragazzini che erano stati pazienti di Paolo. Uno era il figlio del fornaio, Luchino, la cui famiglia era della Chianella da generazioni. Un altro era Deepak, il bambino indiano, la cui leucemia era stata dichiarata in remissione, poi c'era Michele, il miglior amico di Deepak, e ancora il piccolo Fritz che aveva i nonni tedeschi, arrivati in zona per fare agricoltura biologica negli anni ottanta, e altri. Come uno stormo di uccellini arrivavano e chiacchieravano un po' con Paolo. Gigliola portava loro un pezzettino di dolce o della frutta. Poi come uccellini svolazzavano altrove. C'era un porticato a sud della casa e Paolo si sedeva lì dopo pranzo, se c'era il sole. I bambini arrivavano e si sedevano anche loro, serissimi. Paolo masticava un sigaro spento, da quando aveva il Sym non gli piaceva più fumare, ma le brutte abitudini sono dure a morire, e si ritrovava col sigaro in bocca senza accenderlo.
“E' arrivata la delegazione ONU.” diceva Gigliola, alludendo al miscuglio di colori della pelle e provenienze dei piccoli, e Paolo rideva. Una sera a cena Gigliola osservò che Paolo parlava più volentieri con questi bambini che con gli adulti.
“Sennò non avrei fatto il pediatra.“ rispose lui.
“E cosa vi dite?”
“Oggi parlavamo di antropologia.”
“Antropologia. Figuriamoci. Con dei bambini delle elementari. E che dicevate di antropologico?”
“Ho chiesto a Deepak a che etnia appartenga la sua famiglia. Mi ha risposto che sono indiani Sik. Gli indiani Sik fanno tenere i capelli lunghi ai ragazzini fino, credo, ai dodici o tredici anni. Li legano in una crocchia in cima alla testa con un gran fiocco rosso. Poi li tagliano in una specie di rito di passaggio alla maturità.”
Gigliola rise “Davvero? Chissà qui che direbbero gli altri ragazzi! Prenderebbero in giro uno che tiene i capelli così! Ma te che ne sai?”
“Indovina?”
“Hai avuto un piccolo paziente indiano Sik...”
“Eh già.”
“ Era quel ragazzino che si ammalò di leucemia come Deepak, però lui morì...”
“Proprio quello.”
“Un brutto ricordo, eh, Paolo?”
“Orribile.”
“Quindi Deepak dovrebbe far ricrescere i capelli lunghi fino ai tredicianni..”
Deepak aveva perso tutti i capelli nel corso delle terapie prima dell'arrivo del SYM. Ora stavano ricrescendo in una specie di pelliccetta scurissima, lucida e dritta sulla testa.
“Sì, gliel'ho chiesto. Ma lui ha detto che suo padre lascerà che tagli i capelli come gli altri ragazzini di qui. Sei già cresciuto a causa della malattia, sei già un uomo, gli ha detto.”
“Ah! - fece Gigliola ammirata- Un padre intelligente!”
“Bambino intelligente, famiglia intelligente. Almeno di solito.” Disse Paolo.
Un pomeriggio i ragazzini dissero qualcosa riguardo ai compiti da fare per scuola e Gigliola disse: “Perché non venite a farli qui da me? Sono quasi sempre sola, mi fareste compagnia. Posso avvisare i vostri genitori, così lo sanno e non si preoccupano.”
I bambini si guardarono e si capì subito che l'idea piaceva a tutti. Non vedevano l'ora di ritrovarsi insieme e a tutti piaceva la moglie del dottore. Ma Gigliola si morse la lingua. Si era messa in un bel guaio. Chissà che le era venuto in mente di dire quella stupidaggine, aveva sempre avuto difficoltà con i ragazzini.
Nel primo pomeriggio di una giornata di sole pallido di febbraio 2013 arrivarono i bambini che, da 5 che erano all'inizio, diventarono presto una quindicina, dalla prima elementare fino alla prima media. Quasi tutti i ragazzini del paese. Gigliola era laureata in lettere e da giovane, per un periodo, aveva insegnato nella scuola media. Da quando aveva il SYM era più paziente e i bambini cominciarono a piacerle, mentre prima non li sopportava granché. I bambini erano assortiti, come provenienze, come sesso e anche perché alcuni avevano il SYM ed altri no. Dopo i primi due o tre giorni si era stabilito un clima di collaborazione fra di loro e si aiutavano a vicenda nei compiti. Li osservava, seduta nella poltroncina di vimini con una tazza di tè in mano. Interveniva soprattutto per le correzioni linguistiche, necessarie visto il miscuglio di lingue diverse. I bambini, quelli in comunicazione SYM, avevano appreso le lingue degli altri, ma con tutti i difetti e gli errori degli altri, come era avvenuto con il cinese della signora Huang.
I bambini senza SYM continuavano a conoscere solo l'italiano, e, alcuni di loro, maluccio. Il SYM non si era occupato di questa cosa e forse era una delle cose di cui non si sarebbe occupato mai, intendeva lasciare vasti spazi liberi ai suoi ospiti, in cui non intervenire affatto. Deepak era il più bravo in matematica, sorridente, paziente e disposto ad aiutare i compagni.
“Ha l'attitudine di un insegnante. Non erano gli indiani che affollavano le università americane e erano bravissimi in matematica e fisica?” pensava Gigliola. Cominciava a divertirsi molto con i ragazzini e quando Paolo tornava dal lavoro gli raccontava i fatti del giorno. Telefonava anche a Giulia, che in quel periodo si trovava a Londra e Giulia disse: “Ti ricordi, mamma, che Alan ha detto che dovevamo essere invisibili?”
“Sì, ma che c'entra? “
“C'entra, mamma, vedrai che da questo doposcuola verrà fuori qualche rogna.”